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    Non basta essere juventini per salvare questa squadra: il messaggio fortissimo di Tudor

    Non basta essere juventini per salvare questa squadra: il messaggio fortissimo di Tudor

    • Cristiano Corbo, inviato a Torino
      Cristiano Corbo, inviato a Torino
    Era esattamente ciò che ci si aspettava da lui, e Igor Tudor ha risposto in modo perfettamente coerente con il suo personaggio. Da juventino a pragmatico, senza deviazioni inutili. Nessun proclama – sarebbe stato superfluo –, nessun volo pindarico. Solo concretezza: qui e ora, presente, attitudine. Soprattutto attitudine. Ha sorvolato sul concetto di DNA juventino, anzi ha precisato: non è solo una questione identitaria, perché l’identità può essere d’aiuto, ma non segna gol. Sono solo parole, proprio come recita una nota canzone.

    La conferenza stampa di presentazione è diventata un boomerang per chi cercava risposte sui drammi di Thiago Motta, ma è stata illuminante per chi si concentra sulla realtà attuale: una squadra in difficoltà, un allenatore con una presa rapida – anche perché conosce l’ambiente come pochi –, ma nessuna rottura netta con il passato. Tudor si è rivelato un testimone perfetto: nessun tono alto, nessuna pressione aggiuntiva sulla squadra. Ha riconosciuto i problemi, ha espresso il dispiacere collettivo per come si è arrivati a questo punto, ha evidenziato la malattia, ha provato a diagnosticarla. Ma senza spiegare i motivi per cui era lui a farlo. Per educazione, non per mancanza di consapevolezza.


    Dai singoli al gioco: cos'ha detto Tudor


    L’era di Thiago è finita, e rivangare il passato sarebbe solo un modo per alimentare gli stessi fantasmi che Tudor sta cercando di scacciare nei suoi primi giorni alla Continassa. Meglio concentrarsi sui giocatori. Vlahovic? "Un giocatore fortissimo", ha detto, lasciando intendere che sarà centrale nel suo progetto. Kolo Muani? Può affiancarlo o essere un’alternativa, nulla di nuovo. E Koopmeiners? "Sappiamo che in certi anni ha fatto delle cose", ha commentato con prudenza. Ora il compito più grande sarà rimetterlo nelle condizioni di farle di nuovo, perché un acquisto così oneroso non può finire ai margini. E lo stesso vale per Yildiz e per Locatelli, il capitano. "Un ragazzo perbene", ha sottolineato Tudor. Detto da lui, vale doppio. Un modo per preservare equilibri già precari.

    Dal punto di vista tattico, è emerso poco. Ma per un motivo semplice: solo ieri Tudor ha potuto lavorare con la squadra al completo e confrontarsi con i veri protagonisti del gioco, i calciatori. Il suo approccio sarà graduale, senza imposizioni, accompagnando il gruppo verso la sua idea di calcio. Per questo, contro il Genoa, non ci si può aspettare una rivoluzione immediata. Ma un principio chiaro è già emerso: i giocatori devono essere schierati nei loro ruoli naturali. Addio agli esperimenti forzati.


    Quegli aneddoti sul passato


    Il passato, ovviamente, torna sempre. È benzina e motore dell’entusiasmo collettivo, nonostante Tudor, in 13 anni da allenatore, abbia concluso una stagione intera solo due volte. I discorsi sulla juventinità lasciano il tempo che trovano, ma gli aneddoti no: guadagnano spazio e sorrisi. Del Piero gli ha insegnato il rispetto per chi lavora nella Juventus. Zidane, già allora Zidane, gli ha dato una lezione sul valore dei ruoli. Erano altri uomini, altri leader. Tudor ha imparato dai migliori, ora deve dimostrarlo dall'altra parte della barricata: spiegare, convincere, costruire.

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