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Non ragionate classifica alla mano. E' una preghiera, ma anche un consiglio: in questo momento, 13 partite dall'inizio, e soprattutto a 25 dal termine del campionato, praticamente non serve a nulla. Figuratevi che Fonseca crede ancora allo scudetto. 

Serve semmai analizzare il doppio volto che regala Milan-Juventus, quella sensazione un po' a metà, classica da partita "inespressa", termine meraviglioso con il quale Pierluigi Pardo l'ha definita in telecronaca. Inespressa come il tappo che finisce nella bottiglia. Come qualcosa senza sapore. Come restare senza voce, e non perché hai cantato a squarciagola a quel concerto. Come un prodotto indifferente, che non emette sentenza. Che non fa arrabbiare perché sbagliato, che non fa godere perché buono. Resta fermo, immobile, come la Juve. E come le aspettative attorno ad essa. 

Resta il dato difensivo, un altro clean sheet e soli 7 gol presi, di cui 4 a San Siro contro l'Inter; resta il fatto che non si perda, e non è sicuramente un aspetto banale a un terzo di campionato. E restano però pure le incomprensioni negli ultimi metri, l'inefficacia dei trequarti, l'indifferenza - che ritorna - delle prestazioni di Koopmeiners. C'è tanto da aggiustare, e c'è altrettanto da capire. Di sicuro, c'è un bel po' da aspettare, perché Motta l'ha definito un "passo del percorso" non per caso, ma perché è convinto che sia così. 

Al momento, non è dato sapere quanto sia lungo questo percorso e soprattutto, al primo anno, dove porterà. La scelta di tutti è quella di trarne sospiri di sollievo per non essere capitolati con 15 giocatori di movimento e 18 in totale. E' una Juventus da "poteva andare peggio, poteva piovere". Non che si accontenti, ma che si sforzi - sì, tanto - di guardare il lato positivo. Un'altra storia, rispetto al passato.