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Martina Rosucci, centrocampista della Juventus Women, ha rilasciato un'intervista a Il Corriere dello Sport. 

COL FRATELLO - "Facevamo danza classica, io ero una schiappa e lui bravissimo - racconta Martina - Ma siccome lo prendevano in giro perché danzava, mia mamma ci ha portato via tutti e due. Così mio fratello è passato al calcio, giocava nel Torino e io andavo a vedere i suoi allenamenti. Ogni volta che mi arrivava una palla, la rinviavo col piede. Allora un giorno il mister mi ha detto 'dai vieni anche tu a giocare'. Ed eccomi qua".

IL SOGNO - "Non c’è mai stata nella mia testa l’idea di farne un lavoro - continua Martina -  Adesso invece le bambine possono pensarlo, perché ci sono i grossi club e anche i genitori la vedono come una possibilità. Questo è cambiato: mancava il sogno realizzabile, e adesso c’è. Io da piccola volevo fare la maestra e stare coi bambini. Infatti quando smetterò voglio allenare. Allenare è come insegnare, no?"

IL RITORNO - "Nazionale? Il posto non è scontato per nessuno. Sono felicissima di essere qua. E’ come se non fossi mai andata via. Per me sarà importante raggiungere la migliore condizione, che poi è l’unica cosa che mi preoccupa. Ed è anche l’unica cosa che dipende da me. Perché le scelte le fa il mister. Con la testa ci sono, è il mio punto di forza, il fisico mi deve seguire. Salvai? E’ una grossa perdita, sia a livello di club sia di Nazionale, negli ultimi due anni Cecilia ha raggiunto un livello incredibile: la aspettiamo però. Dopo il Mondiale ci saranno tante altre cose da fare. In Nazionale troveremo le soluzioni alternative, quando il gruppo è forte sa ovviare a situazioni che capitano all’improvviso. Però Salvai ce la portiamo con noi".

L'EMOZIONE - "Il calcio in generale mi emoziona tutto: le dinamiche di gruppo, di spogliatoio, l’obiettivo, unirsi per raggiungerlo, risolvere le difficoltà, la comunicazione. La partita, gli allenamenti li considero una piccola vita. Il calcio è uno sport di relazioni e per me sono importanti. Per questo sono così invasata, perché vedo nel calcio una vita in miniatura. E ci sono dentro a livello emotivo, non riesco a staccarmi, una roba che mi mangia"

STADIUM - "Ho pianto. Sono juventina e vado allo stadio da quando sono piccola, quando è partito l’inno della Juve e le bandiere sventolavano mi sono detta “cavoli, di solito sono io lì sopra a cantare!” Un’emozione mista però a un po’ di tristezza, perché non ho giocato. Sono juventina, sono di Torino, gioco nella Juve sono tanti anni che combatto per i diritti nel calcio femminile, mi è dispiaciuto non vivere quell’evento in campo, però vabbè c’ero. E’ stato un esperimento riuscito bene. La risposta del pubblico è stata incredibile. La Juve fa le cose bene. La gente è curiosa, e la curiosità smuove le cose. Il fatto che non si pagasse ha permesso a tante persone di vedere lo Stadium, il museo e la partita di calcio femminile. Gente che non sapeva e ha potuto vivere la nostra passione. Trasmettiamo emozione. Non che gli uomini non la trasmettano, mi dà fastidio questo distinguo, noi donne più passione degli uomini, io penso che sia solo un modo diverso di esprimerla. Siamo donne dopotutto... Insomma, chi è venuto ha avuto un’occasione per scoprirci quel giorno e magari a tornerà vederci".