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Joe Montemurro, allenatore della Juventus Women, ha concesso un'intervista esclusiva a Tuttosport. 

PRIME SENSAZIONI - "È una domanda con tante emozioni. Io, innanzitutto, sono stato un tifoso della Juve e per chi è come me, figlio di italiani emigrati in Australia, il bianconero è stato un simbolo che unisce una comunità. Quest’avventura è nata da un discorso nato nel tempo con Braghin. È stata una scelta facile: c’erano delle basi, si sapeva dove voler arrivare. La cosa più difficile è stata lasciare l’Arsenal, per come mi avevano trattato bene. Alle ragazze ho spiegato che possiamo fare un certo tipo di calcio, in cui viene prima lo spettacolo. Vero che parte subito il paragone con i maschi, ma le donne possiedono le doti per un calcio piacevole, di classe e di stile. Poi ho voluto far capire loro l’importanza individuale all’interno di un gruppo, per questo ho subito scelto per le rotazioni. E devono avere la responsabilità di quello che fanno: tante persone le guardano e vogliono essere come loro". 

IL PERCORSO - "È stato importante per capire la realtà del migliore club al mondo. Forse noi abbiamo pensato di potercela giocare, ma partite così servono a capire dove vogliamo arrivare, che atteggiamento mentale serva. Un esempio: vincevano già 6-0, la loro centrale Paredes al 92’ è venuta di corsa nella nostra area su angolo a cercare il gol ed è tornata indietro a 100 all’ora per trovare la posizione. Questo è il top, questa esperienza ci è servita più di un allenamento, per capire come si comporta una professionista".  

IL LIVELLO - "Prima di venire ho viste tante partite. Avete una grande cultura tattica, fin da giovani e a ogni livello: anche le piccole squadre trovano soluzioni e ti mettono in difficoltà. Non puoi sottovalutare nessuno, è importante per la crescita del calcio femminile. Giocano contro la Juve e vogliono fare una certa partita, noi dobbiamo essere sempre al top. Mi fa piacere giocare contro squadre come l’Empoli, che ha idee importanti. Cosa mi aspetto dall'Europa? Sarà molto importante ora che ci sono finalmente i gironi: nello scontro diretto incidevano troppi fattori. La Champions, con una serie di sei partite contro avversarie come Chelsea, Wolfsburg e Servette, sarà importante per vedere dove crescere. Come dice il direttore Braghin, siamo entrati nell’Università: cerchiamo di imparare e di andare avanti". 

ENTUSIASMO - "Per me è la normalità, la mia porta è sempre aperta: forse è il mio carattere, cerco di creare un ambiente piacevole. Si parla di calcio, di tattica, di moduli. Va bene, ma io mi dico sempre: che cosa posso insegnare? Se vanno via con una cosa imparata da me, nello sport come nella vita, ho fatto il mio lavoro. Ho la possibilità meravigliosa di lavorare in un settore fantastico, la uso come una esperienza di vita. Alle ragazze ho cercato di dare una idea di gioco con basi solide e semplici, che possa essere usata come una assicurazione: se la seguono, possono arrivare a giocare la partita che meritano. Questo atteggiamento viene dalla mia carriera di allenatore, non era stata un granché da calciatore. Ho lavorato, fatto corsi all’estero senza cercare scorciatoie. Voglio andare a casa ogni giorno con una certa onestà".  

STILE DI GIOCO -"Conta la palla: se tu la tieni più dell’altra squadra, puoi controllare il destino della partita. Non devi perdere l’equilibrio e, quando non hai la palla, riconquistarla subito. Voglio le verticalizzazioni, non palleggiamo per palleggiare. Muoversi per creare il più possibile".

GLI IDOLI - "Scirea - dice indicando il libro di Tuttosport - su tutti, e quelli degli Anni 80 come Cabrini, Tardelli, Platini, Boniek. Poi Del Piero, Zidane. In panchina? Forse Trap, per l’atteggiamento. Ma non so fischiare...".