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Nel podcast Juventus, Stories of Strenght, Timothy Weah racconta la sua storia.

FRATELLO - "Ho avuto mio fratello al PSG. Da giovane sapevo già i miei obiettivi, sapevo già cosa volevo fare. A 14 ero affamato per arrivare dove volevo arrivare. E' stata un'esperienza diversa rispetto a casa, dove avevo mia madre. Avevo sempre qualcuno che mi accompagnava. Avevo i miei amici. E' una transizione, emergi da giovane, in un'età molto piccola. Da Ny alla Francia? Non è stato molto difficile per me. La mia famiglia aveva già vissuto lì, avevamo una cultura europea. Mio padre parla francese e italiano, è stato forse il cibo, quello in casa. Il cibo giamaicano, mia madre è di lì. In Italia non si trova. Ma l'Inghilterra non è distante... Il ruolo della mia famiglia? Hanno giocato un ruolo importantissimo. Mio padre era meno in giro perché aveva sempre da lavorare. Mia madre ha viaggiato tanto. Poi mio fratello maggiore, ha 10 anni più di me, era già in Francia quando sono arrivato lì. Nei weekend quando non sono con la squadra sono a Parigi con lui. La transizione l'ha resa facile. Lo staff è stato fondamentale, spesso ero nelle loro case, è stato divertente". 

LA SQUADRA - "Quando sono diventato più grande, in ogni squadra sei hai persone che puoi chiamare famiglia. Spendi la maggior parte del tempo, li vedi, mangi con loro, dormi lì. Diventano automaticamente una famiglia. Oltre a essere sempre qui, hai cene, esci, crei legami. Aiutano a performare meglio in campo". 

TROVARE UN POSTO - "E' stato facile per me. Ho iniziato a giocare da professionista a 17 anni, al PSG. C'erano Neymar, Mbappé, Cavani. Lo sapevo che a un certo punto avrei dovuto fare la mia esperienza. Sono stato al Celtic, poi al Lille per quattro anni e ora sono qui. Le esperienze sono state importanti, mi hanno aiutato a crescere, nel calcio e come uomo. Sono molto orgoglioso delle mie esperienze. Nulla è stata davvero complicato, ma ognuno ha la propria storia, ognuno ha la sua forza". 

SCEGLIERE LA JUVE - "E' stato molto facile. Dopo un po' di tentativi, arrivando da New York, il calcio è l'ultimo della lista, quando sono cresciuto ho guardato tanti altri sport. Quando chiama la Juve non puoi dire no. Un sogno realizzato. Non avrei mai immaginato di giocare con alcuni dei migliori calciatori al mondo. Non ci puoi pensare...". 


LA FIGURA DEL PADRE - "Soffocato da questo tipo di paragone? No, non realmente. Arriva con il territorio. Sarò sempre suo figlio, come il figlio di mia madre. Per me è orgoglio. Nel mondo del calcio devi guadaganarti rispeetto, sono ancora nel percorso, ma non mi abbatte semmai mi motiva. Sono arrivato a questo punto, gioco per la Juventus. Ho giocato nella Coppa del Mondo, i tornei più prestigiosi. Mi dà forza per continuare. Sono orgoglioso di aver fatto tutto questo e di ciò che ha fatto mio padre".  

RESTARE POSITIVI - "Arrivo da una famiglia mentalmente forte, ho visto cos'hanno passato i miei genitori. Mi permette di concentrarmi sulle cose positive e non negative. Ho avuto quei momenti dove è possibile cadere giù, magari dopo gli infortuni... So che c'è un lieto fine, un obiettivo più grande. Il calcio è un gioco mentale, dipende dal tuo stato mentale. Può cambiare il modo in cui giochi. Dopo tutti questi anni, ora sono un adulto e so come gestire, per generare positività". 

SALUTE MENTALE - "Non è mai stato un argomento della mia famiglia, neanche andare da un terapista. E' sempre stato affrontare la situazione, trovare una soluzione. Ma se c'è bisogno, non esiterei: andate in terapia. Se c'è bisogno, parlate con qualcuno. Non siamo costruiti tutti allo stesso modo. Lo consiglio. Non ne faccio molto uso ma certo che lo consiglio. Anche per capire qual è l'obiettivo della tua vita. Solo alla Juve il terapista? E' la prima volta che vedo una squadra ha a disposizione lo psicologo. Lui è sempre con lui. Lo rispettiamo. Come un padre. E' bello parlare con lui". 

AL TIM RAGAZZINO - "Quello che mi hanno detto i miei genitori: sii te stesso, continua a crederci. Se dovessi parlare a un dodicenne, gli direi di inquadrare il suo obiettivo, il suo perché. Capire perché ha bisogno di credere in se stesso, perché dovrebbe diventare il migliore. A un ragazzino di 12 anni già con una forte mentalità, che sa ormai tutto questo, direi: dai un occhio ai tuoi amici, perché non sai mai quando qualcuno sta attraversando un periodo particolare. Possono avere la poker face e sorridere. Indaga... A volte basta un messaggio. Io farei così. Come va? Come va il lavoro? Come ti senti? Quando c'è questo supporto ti può davvero cambiare tutto, soprattutto se sei un ragazzo, un atleta giovane. Fai sapere che ci sei".