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Sarebbe troppo semplice, confortante, lasciarsi trasportare dal torrente delle suggestioni, dei ricordi. Ancora una volta un Derby, un gol nelle fasi finali di gioco, il popolo bianconero che esplode e quello di fede Toro che raccoglie i cocci del vecchio cuore granata frantumato. Dusan Vlahovic, ieri sera, come Juan Cuadrado nel 2015: due Juventus in difficoltà che trovano nella stracittadina la vittoria che può svoltare una stagione intera.
 
No, nessuno parli di svolta, e i motivi sono molteplici. Vero, le similitudini sono molte, ma parliamo di altri tempi, un’altra squadra, altre avversarie. 7 anni, nel calcio, sono un’era, se non di più. Questa Juventus, anche al Grande Torino, ha mostrato criticità e debolezze: un gioco che stenta a decollare, una forma fisica molto lontana dall’essere definita brillante, tanti errori tecnici difficili da accettare a questi livelli. La grande differenza, però, l’ha fatta l’atteggiamento messo in campo dalla squadra: un gruppo compatto che, pur nelle difficoltà, si è stretto per portare a casa tre punti vitali. Per questo, soprattutto per questo, la Juve adesso merita fiducia. Troppo vicine cronologicamente le vittorie con Bologna e Maccabi e poi la doppia sconfitta con Milan e ancora Maccabi, per illudersi; la ferita brucia ancora.
 
Attenzione ad illudersi, quindi, ma anche a non notare dei segnali. Come se tra la cenere ci fosse ancora qualche lapillo acceso, da soffiare a pieni polmoni per far sì che il fuoco torni a scaldare casa Juve. Adesso conta solo trovare continuità, mettere in fila delle vittorie, riacquisire fiducia e arrivare alla sosta senza aver perso troppo terreno dalle prime. C’è una stagione da salvare – almeno in campionato -, ed è il momento di dimostrare che tutti remano dalla stessa parte.