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Mourinho ha detto una cosa così banale e così vera: una sconfitta è una sconfitta. Per la stessa proprietà, la Juve deve capire che una vittoria, che questa vittoria, è essenzialmente una vittoria. E va presa per ciò che è, e poi per quello che dimostra. Ecco, cosa dimostra? Dimostra che la squadra di Allegri si sta forgiando sul sacrificio. Che adesso sa serrare per bene le fila. Che con Chiellini e Bonucci, a prescindere dagli errori umani e individuali, un po' il cerchio si fa quadrato e non arriva poi tanta corrente anche quando le finestre tra le maglie della difesa sono aperte. In sostanza: l'allegrismo è questo, prendere o lasciare. Le ultime quattro partite - o meglio: le ultime quattro vittorie - indicano la prima come scelta più saggia. 

QUALCOSA DI DIVERSO - Dunque, non è lecito aspettarsi qualcosa di diverso? Oppure, riformuliamo: la Juve arriverà mai a esprimere un gioco più bello, spumeggiante, divertente, sulle ali di un entusiasmo che una prestazione del genere comunque sa generare? E chi ce l'ha, una risposta. Non ce l'ha nemmeno Max Allegri, più preoccupato a mettere un mattone dietro l'altro per riportare la Juve ad altezza Champions. Si era posto l'obiettivo di arrivare a novembre con una base di partenza e francamente appare poco sensato parlare di qualsiasi punto d'arrivo. In questo momento conta la concretezza: l'ha raccontato quest'inizio spuntato, lo stesso che ora inizia a diradarsi, una primavera al contrario in pienissimo autunno. Questo non vuol dire che Allegri non ci pensi, che non conti le occasioni perse e quelle malamente sciupate. Tant'è che a fine conferenza lo ripete ancora: "Dobbiamo migliorare nelle scelte negli ultimi metri". Fa tutta la differenza del mondo. Ma fa soprattutto la differenza tra una Juve bella e una Juve opportunista. 

L'EPISODIO CHE UNISCE - Nel momento di massima difficoltà - certamente il rigore dato e poi discusso -, la Juve si è compattata e si è guardata dentro: non ha pensato a strafare - come pure era capitato subito dopo il gol -, ma ha lavorato di concretezza, si è abbassata e come sempre si è fatta più grande. Perché di questi paradossi si è sempre fatta fortissima, la Juve. Mentre tutti parlavano di gioco, lei pensava a vincere. Mentre tutti parlavano di dubbi, fischi assurdi, episodi al limite, lei è sempre andata al massimo. Puntando tutto su un fattore: il talento al servizio del gruppo. Prima da gregari e poi da attori protagonisti. Di questo spirito Allegri, che pure è stato un fantasista e che nella vita resterà per sempre anche un esteta, si è perdutamente innamorato. L'avrebbe voluta probabilmente in campo, ai suoi tempi, una squadra così. Nel tempo, ha capito che da quel binomio di gruppo e vittoria la Juventus non si è mai scissa, nonostante siano cambiati giocatori e situazioni, allenatori e racconti. Sapeva bene di doverla ricreare, in qualche modo: Juve proletaria, Juve di lotta. Juve che ora ci crede e fa bene a farlo.