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Gianluigi Buffon è stato protagonista di una lunga intervista sulle pagine di Tuttosport. Le sue parole: 

DIRETTORE SPORTIVO- "Non sono ancora usciti i quadri con i risultati degli esami, quindi ancora non sono ds. Sono, però, davvero contento perchè ho fatto un buon esame e mi sono preparato bene. Non è una formalità. Diciamo che è la tipica situazione nella quale se non ti prepari a dovere, fai una figura di merda, ecco. Ho dovuto mettermi sotto. Anche perché ci sono delle parti mnemoniche e un po' noiose, per esempio quella sulla giustizia sportiva, con lo statuto e il codice da imparare comma per comma".

COME STA SENZA GIOCARE- "In realtà benissimo. Sono veramente felice perché riesco ad occuparmi di tante cose, impegno la mente per cercare di mettere da parte nuove idee e soprattutto migliorare le mie competenze. Insomma, non è che ho smesso a 29 anni, all'improvviso. Era una scelta che da quattro o cinque anni stava lì: dovevo solo scegliere il momento più opportuno. Ora sto molto bene, ho una vita soddisfacente, oltre che lavorativa, anche familiare".

MOTIVAZIONI PER CUI HA GIOCATO COSì A LUNGO- "Un paio di milioni di motivazioni! (ride). La prima è che fino all'ultimo giorno mi sentivo di poter competere a livelli altissimi. In secondo luogo: volevo essere un esempio per i miei figli per far capire loro che non sono gli altri a porti i limiti, ma sei tu che devi metterli a te stesso. E i limiti spesso sono più in là di quanto crediamo noi e, soprattutto, di quanto credano gli altri. Terza: l'idea di riabbracciare il Parma e un certo contesto, così come di farmi riabbracciare da loro, perché lì sono cresciuto e sono stato sempre amato. Quando sono tornato alla Juventus ero spinto dal desiderio di condividere ancora con determinate persone un percorso e siamo arrivati a una bellissima conclusione con quella Coppa Italia vinta a Reggio Emilia. Certo gli obiettivi erano altri, ma è stato un bel viaggio e, soprattutto, in compagnia di persone con cui ho viaggiato sempre benissimo. E poi ci sarebbero altre quattro, cinque, sei, sette ragioni..".

GIOIA E DIVERTIMENTO DI GIOCARE- "Ci sono anche la gioia e il divertimento che per me sta nelle sfide che ponevo a me stesso, sono stato la cavia dei miei esperimenti, dei miei stress test in cui cercavo sempre di trovare una cosa nuova da capire, risolvere, analizzare, magari per metterla nel bagaglio per il futuro. Per esempio, sono tornato a fare il secondo, anche per capire un punto di vista diverso. Il mio obiettivo era capire se fossi stato coerente, se anche da secondo mi sarei comportato da capitano all'interno del gruppo e per capire come si vedono le cose con gli occhi di chi non gioca sempre. Poi sì, la gioia dei novanta minuti è la più forte di tutte. Io nelle partite sublimavo quel godimento, perché mi estraniavo da qualsiasi cosa. Potevo avere problemi, potevo avere brutti pensieri, finanche nel riscaldamento magari ero lì che mi dicevo: "Ma che cavolo ci stai a fare qui, vai a casa dai tuoi figli", poi l'arbitro fischiava l'inizio e per novanta minuti era divertimento puro, senza alcun pensiero".

DIVERTIMENTO NEL GIOCARE NELLE NUOVE GENERAZIONI- "Divertirsi penso si divertano. Magari non sai che tipo di consapevolezza possano avere del fatto di giocare in Serie A, rappresentando questo o quel club e tifoseria. Perché è un calcio completamente diverso, lontano dalle scelte e dai valori con i quali siamo cresciuti. E non so se questa sia una fortuna o meno".

CONSAPEVOLEZZA- "Per me giocare in Serie A e indossare la maglia della Juve, come quella del Parma, rappresentava un riscatto. Non un riscatto sociale, un riscatto esistenziale, perché avvicinarmi a certi giocatori che mi avevano ispirato da piccolo, entrare in certi stadi, mi faceva accapponare la pelle. Io ho sempre avuto coscienza di quello che stavo vivendo e una certa incoscienza di quello che sono stato e che ho rappresentato per il calcio, sono sempre stato sereno e ho sempre pensato di avere una fortuna incredibile di giocare con certi calciatori. Adesso temo che il discorso esistenziale sia diverso, con i social, un giovane calciatore si sente già centrale nel mondo, le centinaia di migliaia o i milioni di follower lo rassicurano sul fatto che il mondo sa che esiste e che sa qualcosa di lui. Forse questo può rendere le nuove generazioni più appagate, tuttavia manca la voglia di andare in profondità".

MONDIALI- "Presto per parlarne! Siamo ancora lontani ma secondo me la gente deve ancora metabolizzare lo spauracchio dello spareggio e degli spareggi poco fortunati da cui venivamo. Ma poi è sempre stato così: l'Italia accende l'entusiasmo nel momento in cui si inizia a giocare".

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