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    Thiago Motta, con Antonio Conte una differenza abissale. Che sta tutta nell'orgoglio

    Thiago Motta, con Antonio Conte una differenza abissale. Che sta tutta nell'orgoglio

    • Benedetta Panzeri
    Prendere consapevolezza del fatto che certe sensazioni non nascondessero altro che la (triste) verità può far male, a volte. Ed è proprio così ripensando a Napoli-Juventus, una partita che lascia una strana inquietudine - non del tutto nuova, in realtà - legata alla panchina bianconera, alla figura deputata a compiere scelte destinate a segnare il corso di una gara e, alla lunga, pure di una stagione. In questo caso specifico Thiago Motta finisce sotto accusa perché, al di là del risultato finale, a preoccupare è il confronto con Antonio Conte, che parla di un divario in classifica di 16 punti ma soprattutto, tornando a poche ore fa, di una capacità di lettura dei momenti incredibilmente diversa.

     

    Dove ha sbagliato Thiago Motta


    Per l'ennesima volta in stagione - e i 17 punti persi dalla Juventus in situazioni di vantaggio gridano vendetta - il tecnico italo-brasiliano non è riuscito a intercettare il calo dei suoi e non ha saputo sfruttare i cambi nel migliore dei modi (a tal proposito i casi di Teun Koopmeiners e Dusan Vlahovic lasciano aperti enormi interrogativi), con la conseguenza che la squadra bianconera è rimasta vittima di un altro crollo totale. Nel mentre, non a caso, un intervallo. Che Conte, al contrario, ha evidentemente utilizzato per scuotere i suoi e instillare in loro la convinzione che quella partita potevano vincerla, forse intuendo - cosa che invece Thiago Motta non ha saputo fare - che la Juve sarebbe crollata, vuoi per una scarsa convinzione mentale, vuoi per una debolezza fisica che era destinata a palesarsi.

     

    La differenza con Conte


    Il Napoli, effettivamente, ha cominciato il secondo tempo con un piglio completamente diverso, costringendo subito i bianconeri a restare barricati nella loro metà campo. Ha mostrato tutta la forza della capolista, sì, ma anche, più "banalmente", l'orgoglio di una squadra che quella gara non voleva perderla. Ecco, l'orgoglio. Sarebbe bastato quello a Thiago Motta per fare quantomeno il tentativo di giocare gli ultimi minuti allo stadio Maradona con due punte, chiedendo a Randal Kolo Muani un ultimo sforzo. O per togliere Teun Koopmeiners, magari per Douglas Luiz. Nessuno lo avrebbe criticato per questo, forse.

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