E’ andata avanti per tre anni questa storia: meglio giocare bene cercando
di vincere come fa Sarri o vincere cercando di giocare bene come fa Allegri? Partito Sarri per la tentacolare Londra e l’affascinante Premier, è restato solo Allegri con se stesso. Confrontare la sua Juve col Napoli di Ancelotti è ancora troppo presto, con la Roma di Di Francesco sarebbe troppo ingeneroso (nei confronti di Eusebio) e lo stesso si dica con l’Inter e col Milan.
Dunque: Allegri e il suo calcio. Un calcio profondamente italiano, basato su una solida organizzazione difensiva e arricchito dall’estro dei campioni che Max non imbottiglia mai. Anche lui in campo era un genialoide e quel suo modo di giocare da ragazzo ha continuato ad ispirarlo da allenatore. Allegri ha dato alla Juve quattro scudetti di fila, dei suoi 10 campionati di Serie A (2 col Cagliari, 4 col Milan e 4 con la Juve) ne ha vinti 5, uno ogni due, più 4 Coppe Italia e 2 Supercoppe. Oltre a due finali di Champions League. E quando, con la Juve, è uscito dalla Champions prima di arrivare in finale, è sempre successo per un pizzico di sfortuna. Nel 2015-16, a Monaco di Baviera, la sua squadra giocò una partita fantastica, all’89' era in vantaggio sul Bayern di Guardiola, a cui dette una sublime lezione di calcio all’italiana, e solo un errore in uscita di Evra compromise la qualificazione. Nell’ultima edizione, ricordiamo bene cosa è accaduto al Santiago Bernabeu: 3-0 per la Juve, prima dell’espulsione al 90' di Buffon e il rigore di Ronaldo.
Poteva fare di più? Poteva vincere di più? Poteva giocare meglio? Come no, poteva. Ma non è vero che la Juve ha giocato male. Gioca male chi si mette in difesa e non riparte, chi è debole nelle proprie debolezze. La Juve è il contrario, è forte nelle sue forze. Nella testa è mostruosa, vince perché sa che vince. E se Dybala dà il meglio quando ha la palla al piede, è sbagliato legarlo a movimenti preconfezionati. Deve essere lui a decidere dove e come postarsi. Così la pensa Allegri.
Una volta, diversi anni fa, quando Sacchi era ct della Nazionale stavamo seguendo un allenamento degli azzurri dalla terrazza di Coverciano. A un certo punto, un assistente di Arrigo, che non aveva nemmeno una presenza in A, mentre Signori stava eseguendo uno schema, lo fermò quando stava entrando in area di rigore e gli disse: “No Beppe, quando sei qui devi muoverti di qua, non di là”. Infilammo le scalette per tornare tristemente al bar del centro tecnico. Detto per inciso, era l’anno in cui Giuseppe Signori stava vincendo la classifica dei cannonieri. Ecco, quelle parole non le sentirete mai uscire dalla bocca di Allegri.
Max è il miglior allenatore italiano del calcio all’italiana. Che è una definizione dispregiativa se usata dagli inglesi e dai tedeschi (i quali dovrebbero ricordare - e se lo ricordano... - le lezioni che hanno preso da noi). Il calcio all’italiana è organizzazione, è genialità, è intuizione, oggi è anche capacità di gestire grandi organici. Della palla Allegri non sa che farsene, a meno che non finisca rapidamente la sua corsa nella rete avversaria.
di vincere come fa Sarri o vincere cercando di giocare bene come fa Allegri? Partito Sarri per la tentacolare Londra e l’affascinante Premier, è restato solo Allegri con se stesso. Confrontare la sua Juve col Napoli di Ancelotti è ancora troppo presto, con la Roma di Di Francesco sarebbe troppo ingeneroso (nei confronti di Eusebio) e lo stesso si dica con l’Inter e col Milan.
Dunque: Allegri e il suo calcio. Un calcio profondamente italiano, basato su una solida organizzazione difensiva e arricchito dall’estro dei campioni che Max non imbottiglia mai. Anche lui in campo era un genialoide e quel suo modo di giocare da ragazzo ha continuato ad ispirarlo da allenatore. Allegri ha dato alla Juve quattro scudetti di fila, dei suoi 10 campionati di Serie A (2 col Cagliari, 4 col Milan e 4 con la Juve) ne ha vinti 5, uno ogni due, più 4 Coppe Italia e 2 Supercoppe. Oltre a due finali di Champions League. E quando, con la Juve, è uscito dalla Champions prima di arrivare in finale, è sempre successo per un pizzico di sfortuna. Nel 2015-16, a Monaco di Baviera, la sua squadra giocò una partita fantastica, all’89' era in vantaggio sul Bayern di Guardiola, a cui dette una sublime lezione di calcio all’italiana, e solo un errore in uscita di Evra compromise la qualificazione. Nell’ultima edizione, ricordiamo bene cosa è accaduto al Santiago Bernabeu: 3-0 per la Juve, prima dell’espulsione al 90' di Buffon e il rigore di Ronaldo.
Poteva fare di più? Poteva vincere di più? Poteva giocare meglio? Come no, poteva. Ma non è vero che la Juve ha giocato male. Gioca male chi si mette in difesa e non riparte, chi è debole nelle proprie debolezze. La Juve è il contrario, è forte nelle sue forze. Nella testa è mostruosa, vince perché sa che vince. E se Dybala dà il meglio quando ha la palla al piede, è sbagliato legarlo a movimenti preconfezionati. Deve essere lui a decidere dove e come postarsi. Così la pensa Allegri.
Una volta, diversi anni fa, quando Sacchi era ct della Nazionale stavamo seguendo un allenamento degli azzurri dalla terrazza di Coverciano. A un certo punto, un assistente di Arrigo, che non aveva nemmeno una presenza in A, mentre Signori stava eseguendo uno schema, lo fermò quando stava entrando in area di rigore e gli disse: “No Beppe, quando sei qui devi muoverti di qua, non di là”. Infilammo le scalette per tornare tristemente al bar del centro tecnico. Detto per inciso, era l’anno in cui Giuseppe Signori stava vincendo la classifica dei cannonieri. Ecco, quelle parole non le sentirete mai uscire dalla bocca di Allegri.
Max è il miglior allenatore italiano del calcio all’italiana. Che è una definizione dispregiativa se usata dagli inglesi e dai tedeschi (i quali dovrebbero ricordare - e se lo ricordano... - le lezioni che hanno preso da noi). Il calcio all’italiana è organizzazione, è genialità, è intuizione, oggi è anche capacità di gestire grandi organici. Della palla Allegri non sa che farsene, a meno che non finisca rapidamente la sua corsa nella rete avversaria.