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Cosa c'è dietro la crisi di Bernardeschi
SOLITI DISCORSI - Le frasi che accompagnano le definizioni del 33 sono sempre le stesse, da ieri hanno il sapore delle verità che non puoi più nascondere. Il ruolo sbagliato, la forza fisica, la pura tecnica di quel mancino: sono tutti lembi di un soggetto schiacciato dalle risposte alle sue ambizioni. Inevitabilmente altissime, per questo diventate trampolini chilometrici da cui seriamente rischia di cadere. Cioè di farsi male. Il banale errore contro il Lecce è solo l'istantanea, non è certamente sostanza: sbagliano tutti e Fede non è esente dalle più classiche corde dell'umana sorte. Però restano questioni più fattuali: la prima è che, Juve-Atletico a parte, non si ricordano partite in cui l'esterno abbia portato per mano questa squadra o concretamente abbia reso la differenza. Un'altra è la posizione continuamente messa in discussione: Allegri parlava di mezzala, Sarri ha fatto lo stesso. Entrambi l'hanno schierato ala offensiva o trequartista, senza avere grossi benefici specialmente dal punto di vista tecnico.
L'ANNO DELLA VERITA' - Doveva essere l'anno della verità e questo sta accadendo senza ombre e senza dubbi. Non è però la verità che avrebbe scelto Bernardeschi se solo avesse potuto, ma è una tesi che è supportata da fatti, prove circostanziali, scarse impronte sulla scena della vittoria bianconera. Federico si è ritrovato a essere un giocatore senza una precisa identità: non ha una strada già tracciata, non ha mai un compito specifico, non ha una peculiarità che possa tirarlo fuori quando il fiato è corto e la sorte sembra remargli contro. Aveva il sinistro e le intuizioni, puliti e potenti: la calante fiducia nei suoi mezzi ha prodotto un'indecisione fatale pure in quel senso. Lo sguardo smorto fa il resto, nonostante un'abnegazione pari pressoché a nessuno. Che però non conta, numeri alla mano. Che alla fine non dura, se alla generosità non aggiungi un pizzico di senso pratico.
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