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“Cosa fatta, capo ha”. Come esclamerebbe Maurizio Mosca: “Ah, come insegna la cara vecchia cultura popolare...” Per la serie, “che piaccia o no, Sarri (Maurizio come Mosca) è juventino da domenica all'ora di pranzo; da un caldo meriggio di fine primavera, dal sapore di estate. Era ora. Intendo sia che scoppiasse l'estate, sia che si terminasse lo stillicidio di giorni trascorsi nella vana attesa di un comunicato ufficiale. Oddio, i segnali c'erano già stati. Basti pensare al labiale del mister nella risposta a Lichtsteiner durante i festeggiamenti dell'Europa League sul campo di Baku. Ricordate? “Mister, è vero che vai alla Juve?” Sorridendo: “Mah, speriamo”. Era il 29 di maggio.

La logicità della scelta è stata chiara da subito, se è vero che la trasmissione di RETE7 TV “PALLONATE” ne parlava addirittura il giorno prima della notizia della fine del rapporto con Allegri. Logica scelta, per attese sul cosiddetto “bel gioco”, sulla propensione a tenere la squadra più alta di quanto facesse il predecessore, sulla buona preparazione internazionale con il raggiungimento della finale poi vinta, un ingaggio accessibile e non “capestro”, la voglia del tecnico di ritornare in Italia. Tutti indizi bellamente ignorati, oserei dire proditoriamente e cocciutamente ignorati, da chi si è lasciato irretire da chimere difficilmente realizzabili, come volevasi dimostrare.

E mo'? Sulla panchina della Juventus (la seconda carica italiana dopo quella del Presidente della
Repubblica, come simpaticamente è uso definirla un napoletano di provata fede juventina) si accomoda un “elemento di rottura” con la tradizione.
Avete presente Marchesi, fine anni ottanta? Il contrario del contrario, quando viene capovolto. Si siede un “comandante sui generis”, estraneo al calcio giocato ad alto livello, isolato rispetto alle trafile dei colleghi, uno che la gavetta non l'ha fatta, l'ha proprio
fabbricata. Lasciatemi dire che da questa angolazione, Sarri gode in toto della mia simpatia.
Uno che non deve niente a nessuno, diventa bianconero a sessantanni, quando la gran parte di noi (leggi
ed INPS permettendo) si gode la pensione o la anela, sorvegliando i nipotini. Maurizio Sarri uno di noi,
solo pensarlo un paio di anni fa, avrebbe rasentato l'anatema autoprocurato. Ma ormai il mondo del calcio
ha virato verso il 4.0 e non c'è più spazio alla stabilità.

Così va il mondo, chi fa petizioni per togliere la stella di Conte e chi smura la targa a Bagnoli del luogo
natale dell'inventore del “sarrismo”. Che cosa mai capiterà all'Allianz Stadium in occasione di Juve-Inter
e che cosa non succederà al San Paolo quando la Juventus farà visita al Napoli?

Stranezze del calcio moderno; una volta si segnavano le date dei derby o degli scontri diretti per fini di classifica. Ora si disegnano gli asterischi di fianco alle date delle gare “a panchine invertite”. Pertanto, se ho ben compreso, Sarri non è più mio nemico, sta dalla parte “sana”, fa venire il mal di stomaco a De Magistris, che sogna l'orgasmo da vittoria contro di lui; se dovesse apostrofare una giornalista “carina”, dovrei voltarmi facendo finta di nulla; mi appresto ad andare allo stadio in tuta, per solidarietà ed anche, in questo il “mangiafiltri” è già utile, per evitare l'obbrobrio fatta maglietta; non mi devo più offendere per dita tese, poiché “in “medio” stat veritas.

Quante cose si capovolgono in un attimo, da non credere. Una di esse ha però da continuare: la vittoria dello scudetto, a fianco di qualche coppa accessoria e... E poi, che Sarri Maurizio, napoletano di
nascita, mezzo bergamasco e mezzo aretino, dia pure sfondo al suo repertorio di tecnico ruspante e
“politically scorrect”. Come già ho avuto modo di scrivere, contro i soliti “arriccianasi”: “Mi auguro che Sarri possa ruttare dentro la Coppa dei Campioni e che l'eco vi seppellisca tutti”. Un bel chissenefrega cade a pennello.