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Ho visto e sentito gente delusa, ieri sera. Non tanto per essere stata costretta a tribolare prima di arrivare alla vittoria, peraltro meritata, della loro Juventus contro il Chievo quanto piuttosto per non aver potuto festeggiare il primo gol di Cristiano Ronaldo in Serie A con la maglia bianconera. Un evento che in molti e addirittura in troppi alla vigilia davano per scontato perché, stando ad una logica che logica non è, con quel che il giocatore portoghese viene pagato e con quel che il pubblico deve pagare per vederlo all’opera sarebbe automatico attendersi da lui reti a grappolo possibilmente ciascuna volta che va in campo. Nel calcio, come nella vita non funziona così.

Ronaldo è un autentico campione di quelli che nascono una generazione sì e l’altra no. Sta scritto nelle pagine di storia scritte sul suo passato e, verosimilmente, anche in quelle che ancora debbono venir redatte. Ma Ronaldo non è un robot studiato e programmato dall’ingegneria spaziale e, soprattutto, non è un fenomeno da baraccone che attrae le folle incuriosite e convinte  di poter assistere, sempre e comunque, a qualche cosa di eccezionale o addirittura di paranormale. Il fatto che nel suo Dna esista anche la cifra del bomber è fuori discussione. Il fatto che lui debba segnare a prescindere e a tutti i costi non sta scritto da nessuna parte, neppure sul ricco contratto stipulato con la Juventus.

Ieri, comunque, ci ha provato e almeno in tre occasioni la soddisfazione del gol gli è stata negata da quel vecchio ragazzino di nome Sorrentino. Ma a contare e a confermare la grandezza di “CR7”, mai ce ne fosse ancora bisogno, è stato il comportamento complessivo del giocatore. Il suo atteggiamento carismatico nel momento del ritorno in campo per il secondo tempo con quel suo urlare in portoghese a tutti i compagni “Vamos!”, sottintendendo il “Ganar” e cioè la vittoria. Un appello, da leader, al quale hanno fatto seguito alcuni suoi numeri da autentico fuoriclasse e la messa in mostra di una volontà da “esordiente”. Poi, dopo momenti di timore e di perplessità dell’intera squadra i cui giocatori (chi di più e chi di meno) debbono ancora carburare a dovere e anche grazie alle varianti tecniche o tattiche operate da un Allegri, sempre attento e preciso nelle sue scelte, è arrivato il meritato successo. 

Poco importa se la firma in calce non è stata messa dal giocatore più prestigioso dal quale la gente si aspetterebbe cose umanamente impossibili. Altri e Bernardeschi in particolare hanno provveduto a farlo. E lo stesso Ronaldo, il quale non è un maniaco egoista del gol e che sa bene come funzionano le cose, alla fine era un campione felice. Un robot non prova emozioni.