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Andrea Agnelli non ha mai patteggiato. La decisione dell'ex presidente della Juventus è stata sin dall'inizio estremamente chiara: dopo aver ricevuto la lunga "inibizione" per il caso plusvalenze, una sanzione da 24 mesi ai margini, Agnelli ha iniziato la sua (altrettanto lunga) rincorsa alla verità. 

Il ricorso, presentato anche da Maurizio Arrivabene, mirava a contestare il procedimento subito e soprattutto la gravità della sanzione. Il giorno 6 giugno, il Tar ha sospeso la sentenza, rimandando due questioni fondamentali alla Corte Europea. Le riportiamo qui. 


Il principio di autonomia dell'Ordinamento Sportivo


La difesa di Agnelli e Arrivabene si è sempre basata sul principio di autonomia dell'ordinamento sportivo, che generalmente non consente di fare ricorso delle sentenze sportive presso la giustizia ordinaria, eccetto per richieste di risarcimento. 

Se la sentenza sportiva è così severa e lunga da impedire a un individuo di svolgere la propria professione, essa può essere verificata da un tribunale ordinario, sia amministrativo che penale. Ed è proprio questo il nodo: le leggi che concedono quest'autonomia alla giustizia sportiva sono realmente compatibili con l'ordinamento europeo? 

Il TAR ha posto la questione alla Corte, consapevole che a dicembre la stessa Corte di Giustizia Europea aveva già espresso un concetto simile, indicando che tali sentenze devono poter essere verificate se influenzano pesantemente la vita professionale degli individui.


Le tempistiche


L'attesa è importante, perché un'eventuale vittoria di Andrea Agnelli (e Arrivabene) potrebbe cambiare quantomeno la percezione di alcune sentenze. La Corte impiegherà almeno un anno per analizzare e dirimere la questione. Non c'è da fare pronostici, c'è solo da capire: se dovesse avere ragione, l'ex presidente vedrebbe revocate le sanzioni subite.



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