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No, non è più "il gioco delle parti". E no, non va più considerato nei "contro" di un mestieri dalle emozioni uniche come le pressioni. Alvaro Morata ha dovuto nuovamente denunciare una situazione spiacevole: sono arrivati insulti, minacce, parole spiacevoli. Non solo destinate a lui, nel mirino sono finiti persino la moglie e i tre figli, che la coppia ha deciso di esporre sui social. 

"Sono stato nove ore senza dormire dopo la Polonia. Ho ricevuto minacce, insulti alla famiglia, speriamo che muoiano i tuoi figli… Però sto bene, forse qualche anno fa sarei stato molto peggio. Forse non ho fatto il mio lavoro come dovrei. Capisco che mi si critichi perché non ho segnato, ma la gente dovrebbe mettersi al mio posto, capire cosa significhi ricevere minacce, che ti dicano che i tuoi figli devono morire", le parole di Alvaro. E non è la prima volta che, proprio dal centravanti juventino, arrivino denunce vere e proprie. Perché prima del caso 'spagnolo', c'è stato quello italiano. E prima di quello italiano, tra Madrid e Londra non è che sia andata meglio. 

La domanda allora si fa seria: quanti 'casi Morata' ci vogliono per trovare una soluzione, per porre un freno, per realizzare come la dimensione social sia una dimensione sociale e quindi vera, concreta, che arriva a una persona con sogni, speranze, aspettative e soprattutto sentimenti?

Dietro un username c'è un uomo. Dunque, dev'esserci rispetto.