Crediamo che il nuovo allenatore sia, invece, molto duttile: sperimenta, partendo da quello che ha a disposizione, provando e riprovando, ma senza, per altro essere un fondamentalista. Lo ha raccontato molto bene Luca Bedogni: questa Juve sembra una squadra melodica e atonale allo stesso tempo, votata a lavorare su più toni e su più sistemi. Ne sarà capace?
Ma andiamo a ritroso. Quale squadra si trovava davanti Pirlo? Quella abbozzata (mai realizzata del tutto) da Sarri, che prevedeva un continuo possesso di palla e un dominio territoriale, anche a prezzo d’una certa lentezza e d’una conclamata prevedibilità. La Juve arrivava nella tre quarti avversaria, cercava l’imbucata verso il centro e quasi sempre sbatteva contro i muri dei centrocampisti e dei difensori avversari: un copione ripetuto alla noia, col corollario di affannosi, inani recuperi difensivi.
La prima cosa che sembra aver fatto Pirlo è cancellare quest’impostazione: non solo allargare il gioco sulle fasce e partire in velocità, ma provare a far giocare la squadra in più modi nell’arco dei novanta minuti. Una specie di Juventus mobile, capace di cambiare vari moduli nella stessa partita. Se sarà in grado di farlo non solo avrà vinto un’importante scommessa, ma anche realizzato sprazzi (o forse più) di gioco nuovo, secondo quanto anticipa il suo insegnante Ulivieri.
Certo, esiste il rischio d’una non facile assimilazione, perché cambiare abito in corsa è difficile, ma è un rischio calcolato, che prevede anche una certa dose di pazienza e rodaggio, sempre necessari quando si coltiva una novità. Se fioriranno, potrebbero essere rose bellissime.