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C’è un elemento che ha profondamente stupito nella Juve capace di battere l’Inter in Coppa Italia: la formazione. Credevamo, sbagliando, che Pirlo non si sarebbe più allontanato dalla squadra che gli aveva permesso di ripartire alla grande proprio dopo la sconfitta con i nerazzurri in campionato, il 17 gennaio. Quindi una difesa costruita su Cuadrado, Bonucci, Chiellini e Danilo e, soprattutto, un centrocampo più consistente rispetto a inizio stagione, formato da McKennie, Arthur e Bentancur più un esterno d’attacco, Chiesa (in aggiunta a due punte: Ronaldo più un altro a scelta tra Morata e Kulusevski, in attesa di Dybala).

Che ci fosse qualche variazione sul tema era normale, quasi scontato. Ad esempio che rientrasse De Ligt, ovviamente: è destinato a essere di nuovo un titolare, una volta smaltite le scorie del Covid. O che potesse essere utilizzato Alex Sandro, anche lui recente vittima del virus. Ma immaginavamo che l’anima della squadra, e quindi soprattutto la mediana, sarebbe rimasta la stessa, almeno nelle gare più impegnative, quelle che richiedono la Juve migliore. Macché, Pirlo ha comunque rivoluzionato tutto. E la formazione che ha schierato a San Siro, come dicevamo, ci ha stupito: la coppia difensiva De Ligt-Demiral, l’incursore Rabiot anziché il palleggiatore Arthur, anche Bernardeschi al posto di Chiesa. Una squadra molto meno affidabile e quadrata, considerato che la precedente aveva portato le vittorie in Supercoppa italiana con il Napoli e i successi contro il Bologna e sul campo della Samp.

Ma come mai, dopo averla cercata per tanti mesi, Pirlo ha ribaltato la sua bella Juve in una partita difficile come questa con l’Inter? Forse lo ha guidato la sua sensibilità, umana e tecnica. Si è reso conto di dover dare un segnale agli altri, a coloro che erano diventati riserve, per continuare a coinvolgerli emotivamente nel progetto: pure voi siete importanti e ve lo dimostro schierandovi in una partita speciale. E ha compreso che contro l’Inter avrebbe potuto fare bene anche con questa formazione molto rivista e modificata. Ma forse, in questa sua scelta, c’è anche una vena di follia, che lo porta a sperimentare, provare, rischiare. In continuazione, quasi senza limiti. Come quando si faceva passare la palla dai compagni sul limite della propria area benché avesse un paio di avversari addosso: datela a me, non abbiate paura, ci penso io.

@steagresti