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Lasciamo libero il campo dai dubbi: Federico Chiesa è il giocatore più imprevedibile che la Juventus possa vantare in rosa. E' uno dei pochi con guizzi, ambizioni, sotterfugi, idee. E potenzialità per concretizzare tutto questo. 

Quando la Juventus l'ha comprato - pure lì: annosa e a tratti desolante trattativa -, qualcuno aveva dubbi, ma molti erano convinti: è un giocatore da strappo supremo, era il lampo nel deserto di idee che era stata l'ultima Juve della prima era Allegri. Pirlo l'ha voluto fortemente, e aveva ragione. Un'iradiddio capace di combinare con Cristiano Ronaldo, di cui idealmente, nelle intenzioni della Juve, avrebbe poi preso il posto. 

La 7 è infine arrivata. Quella pesantezza all'interno della partita, no: non c'è mai stata.

Adesso che si parla di cessione, per di più inevitabile, sia per la volontà di Motta che per la scadenza quasi imminente del contratto, la sensazione che lascia - e che ha lasciato pure l'ultimo Europeo - è di un giocatore con la forte necessità di reinventarsi altrove. Di risentirsi calciatore forte, fatto, finito. E importante. La Juve non può più dargli quell'alone protettivo, semplicemente non può più permettersi di aspettare nessuno. Né di dipendere da qualcuno. 

Come per Dybala, anche per Chiesa la Juventus ferma il cronometro, scende dalla giostra (pure davanti a determinate richieste) e si mette al primo posto.

Giusto o sbagliato? E' una scelta, e a prescindere va apprezzata la coerenza. Per tutto il resto, citofonare "rettangolo di gioco".

Con un enorme distinguo, rispetto a qualche anno fa e alla Joya: nel calcio singolo e singolare di Allegri, un elemento creativo come Dybala era comunque necessario, e infatti arrivò Di Maria; nel calcio associativo, di idee, ritmo e tamburi di Thiago Motta, Chiesa rallenta ed estende l'azione.

A proposito di lussi, questo ne sarebbe stato un altro. Per mille aspetti, insostenibile



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