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E alla fine l’Antimafia scoprì di avere in mano delle carte deboli. Il paragone con il gioco d’azzardo potrebbe sembrare irriverente, ma quella in corso tra il procuratore federale Giuseppe Pecoraro e i dirigenti della Juventus è una partita assolutamente decisiva. Biglietti rivenduti dagli ultrà anche a 620 euro l’uno e rapporti così stretti tra tifosi in odore di ‘ndrangheta e il club bianconero che - sostiene Pecoraro - i clan avevano insistito con il direttore generale Marotta affinché ci fosse un provino per il rampollo di una famiglia malavitosa (Mario Bellocco, figlio di Umberto, nell’orbita della cosca Bellocco-Pesce). Un test che non c’è mai stato, ma gli inquirenti hanno rilevato comunque la “forte pressione esercitata da personaggi legati alla criminalità organizzata” sulla Juve.

STATO DI SOGGEZIONE - I presunti rapporti tra i clan e la società sono al centro dell’inchiesta Alto Piemonte: per i pm Monica Abbatecola e Paolo Toso, che pure non accusano la Juve, l’uomo che ha messo in contatto la malavita con il club è Fabio Germani, fondatore dell’associazione “Italia Bianconera” e noto alle forze dell’ordine. Lui avrebbe presentato ai dirigenti Rocco Dominello: rappresentante della tifoseria, incensurato, figlio del boss Saverio arrestato quest’estate con l’accusa di associazione mafiosa. Come ricordato dall’edizione odierna di Libero, in un’intercettazione tra Dominello e il responsabile sicurezza della Juve Alessandro D’Angelo, l’uomo della società racconta di aver discusso con altri uomini del club. “Il tuo gruppo, probabilmente, è composto da 300 persone”, dice D’Angelo a Dominello: “tu hai più di 300 persone da soddisfare, gli ho detto, quindi io ti permetto di fare purtroppo a malincuore, business! Ma questo lo faccio (…) perché voglio tranquillità”. L’intercettazione è del 21 febbraio 2014, quando c’era da scongiurare lo sciopero del tifo per la gestione dei biglietti. Ovvero, uno dei punti su cui la procura federale attacca la Juve. Pecoraro infatti contesta al club di aver ceduto dei tagliandi - pur sapendo che la procedura era irregolare e che sarebbero stati rivenduti a sovrapprezzo - per assicurarsi la pace sugli spalti. Il procuratore commenta un’altra intercettazione con protagonista D’Angelo (che al supporter liason officer Alberto Pairetto confessa il proprio timore di essere invischiato “in una indagine di ‘ndrangheta”) parlando di uno stato di soggezione della società nei confronti di gruppi ultras ed esponenti malavitosi.

ANCORA INTERCETTAZIONI - La tesi sarebbe stata confermata da Francesco Calvo, all’epoca direttore commerciale della Juve, ora al Barcellona e anche lui deferito. Lo scorso 11 luglio, Calvo parla ai pm e illustra il compromesso col tifo organizzato “nell’ambito del quale mi erano note anche aggressione con armi, minacce e altro”. Ma d’altronde “i biglietti non erano regalati ma venduti”. In altre intercettazioni citate dal procuratore emerge che il gruppo ultras dei Drughi “aveva a disposizione mille tagliandi per ogni partita nello Juventus Stadium nei vari settori, 900 a pagamento e 100 in omaggio della società”. A gestire l’affare c’era Raffaello Bucci, suicidatosi il 7 luglio 2016. L’avvocato di Bucci è citato da Pecoraro perché, in un’interrogazione, gli ha spiegato che il suo assistito gli aveva rivelato che “vogliono fare un’indagine sul bagarinaggio” e che “tutti i gruppi ultras stavano organizzandosi in previsione dell’indagine, rivolgendosi ai legali”. Bucci avrebbe confessato che la soffiata sull’esistenza dell’indagine era giunta dalla società e che avrebbe mostrato dal cellulare delle e-mail di Andrea Agnelli in cui il presidente gli chiedeva se avesse bisogno dei biglietti. Ma secondo Pecoraro gli intrecci tra la società e gli ultras sono dimostrati anche da altri episodi, per esempio la presenza di materiale proibito portato in curva nel derby della Mole del 23 febbraio 2014. Una partita che, per le intemperanze della curva, costa alla Juve una multa da 25mila euro. Eppure nell’audizione del 16 febbraio 2017 Agnelli spiega d’essersi “inalberato” con D’Angelo. Per il procuratore però, la riferita arrabbiatura è smentita dal tenore delle telefonate intercettate.

LA RICHIESTA DI PECORARO - Tutto si gioca, dunque, sulle intercettazioni citate da Pecoraro nell’audizione davanti all’Antimafia del 7 marzo scorso. La stessa che la Juve chiede di desecretare, perché - come riferito dal legale Luigi Chiappero - “quello che sta avvenendo è sbagliato: riportare pezzi di intercettazione, momenti e frasi senza contestualizzarli è fuorviante. Si rischia di far passare per vere cose che non costituiscono fatti provati”. Il 26 maggio partirà il processo sportivo: come riportato da Tuttosport, dagli ambienti romani sembra acquisire consistenza una voce secondo la quale la richiesta di Pecoraro in sede di Tribunale federale sarà di tre anni di inibizione per il presidente Agnelli. Una richiesta enorme che dovrebbe essere giustificata con prove clamorose e schiaccianti.