E soprattutto perfetto, a fine gara, a tirar fuori le orecchie accompagnate dal ghigno patibolare per farla vedere ai tifosi della Juve, che ti avevano offeso per 90 minuti. A proposito: che cosa si poteva aspettare un magistrale campione del marketing antijuventino come te? Rose, fiori, profumi, baciamano da una folla di tifosi storicamente ostile al rappresentante “storico” d’una squadra che ha innescato e capitanato calciopoli?
Dai…lo sapevi e lo volevi. In fondo questo è il tuo mestiere: la provocazione con la faccia tetra d’una saudade efferata. Queste sono le tue stimmate e non ti dispiace quando nello stadio non prevale l’equilibrio neghittoso dei distinti o la delusione pacata dei padri coi bambini, ma si dispiega l’onda crudele della curva nell’arena che esige pollici versi.
Vinca il migliore? Quando mai. Vinca il calcio giocato? Ma perché? La tua faccia annoiata tradisce un sussulto di vitalità e i tuoi occhi velati si riaccendono solo se puoi essere graffiato e graffiare. La tua passione sono le banderillas infilzate nelle carni e non aspetti altro che incontrare nemici. L’ Allianz non poteva che essere il tuo stadio prediletto. Nella gogna dei 40 mila affilavi la lingua e lo sguardo, tanto da essere capace di far apparire Bonucci, che bonariamente ti segnalava come non fosse proprio il caso da parte d’un allenatore (la parte strategica, la parte pensante, la parte saggia che pensa, pondera e agisce, esempio ai ragazzi che corrono e scalciano…) una specie di Garrone buono deluso dal tuo gesto provocatorio. E invece no. Bravo! Hai fatto finta di non capire, continuando a tenere le mani sulle orecchie e le labbra storte per lo schifo verso il mondo urlante delle gradinate. Solo contro tutti, al centro della plaza, con la speranza di vedere scorrere il sangue della tua privata corrida contro il mondo.
Eri stato perfetto! Poi hai rovinato tutto! Hai ridimensionato il tuo gesto, rimpicciolito la tua ribalda spavalderia: di fronte ai microfono hai detto che anche se ti avevano offeso durante tutta la partita, ripensandoci, “non l’avresti fatto quel gesto”, hai aggiunto, con tonalità soffuse, che la tua “era stata una reazione a caldo e ora, a freddo, in fondo non sembrava il caso”.
Come è possibile che uno come te coltivi dubbi? Come è possibile che sia attraversato da ripensamenti? Che abbassi la voce?
Ci manca soltanto che uno di questi giorni tu arrivi non dico a chiedere scusa, ma anche soltanto a riconoscere di avere, talvolta, sbagliato. Magari con un mezzo sorriso. Dio non voglia! In questo mondo balordo, esposto ai venti vorticosi del cambiamento, senza punti di riferimento, perderemmo una certezza.