Marotta ha le sue castagne da levare all’Inter, dove tutti devono dire la loro e in cui un rinnovo, sia pure d’un giocatore importante, diventa un caso epocale; Paratici deve dimostrare di saperci fare anche senza l’esperienza e la copertura, d’uno zio o di un padre importante.
Stili, temperamenti, età diverse. Marotta impersona il calcolo, la prudenza, la curialità. Almeno così è stato fino ad ora, ma l’Inter può destabilizzare chiunque. Era, è, il più democristiano i dirigenti. Parla poco e quel poco che dice è lapalissiano, non risponde alle provocazioni (vedi le grevi battute sul suo conto di Lotito), non fa mai il passo più lungo della gamba. È più paragonabile ad un cardinal primo ministro che ad uno spadaccino. Più Richelieu che D’Artagnan.
Tutto l’opposto Paratici, un moschettiere, che preferisce la cappa e la spada alla tessitura certosina, paziente, silenziosa. Anche nel linguaggio e nei gesti la differenza è macroscopica. Ora che può parlare in proprio, lo Chief Football Officier bianconero non si risparmia interviste un po’ guascone in cui parla di “scatenare casino” nel calcio e, in particolare, nell’Inter o di segnare nomi su nomi su foglietti, durante incontri con altri presidenti, che poi fa volare nel cestino (i famosi pizzini). Insomma, uno stile più dinamico e ruspante rispetto a quello compassato e guardingo di Marotta.
In Paratici scorre una vena di divertimento e avventura, di rapidità e decisionismo. In Marotta no. Un centometrista l’uno, un maratoneta l’altro.
E forse, questa diversa concezione delle distanze e delle velocità sta alla base della decisione della Juve di puntare sulla gioventù e sul dinamismo del primo.
Ora, si dà il caso che i contesti in cui i due dirigenti operano siano molto diversi e per qualche verso contraddittori alle loro indoli. All’Inter ci sarebbe bisogno d’interventi radicali, improntati ad una strategia rapidamente attuabile, probabilmente a cominciare da un allenatore estremamente realista; la Juve potrebbe permettersi tempi più lunghi, con qualche innesto mirato. Ma gli obiettivi delle due squadre non sono uguali: la milanese deve risorgere, riaffacciarsi al campionato e a qualche coppa “secondaria”; la Juve deve vincere la Champions. Forse Marotta usava troppo il freno? Si accontentava di conferme? Vedremo se Paratici, pilota ardito, maggiormente incline al rischio, taglierà l’ambito traguardo, contando anche sull’innesto di supposti (la borsa riveste sempre interrogativi) finanziamenti dal mercato finanziario.
Resta il fatto che i due, caso quasi unico nel panorama calcistico, erano complementari, compensando ed esaltando a vicenda carenze e virtù, senza mai “far casino”.