Di fronte a un episodio del genere - che a differenza di quello che è andato a colpire Romelu Lukaku all'Allianz Stadium non ha visto coinvolte poche persone, ma un'ampia fetta di stadio - non è accettabile sentir parlare di "maleducazione", perché allora si finisce di nuovo per minimizzare, nascondendo la polvere sotto il tappeto e la testa sotto la sabbia. In questo caso l'appiglio è stato trovato in quello che a tutti gli effetti è un fatto inconfutabile, ovvero la presenza tra le file della stessa Atalanta, in un passato più o meno recente, di diversi giocatori slavi come Dusan Vlahovic, una giustificazione che ha poco senso di esistere perché, tanto per cominciare, è molto difficile, per non dire impossibile, che una tifoseria si metta a insultare così platealmente un ragazzo che difende i colori della propria squadra, tanto meno tirando in ballo qualcosa di personale.
Come abbiamo riflettuto un mese fa dopo il caso che ha interessato l'attaccante dell'Inter nella semifinale di andata di Coppa Italia (LEGGI QUI), il rischio concreto è che in Italia la lotta al razzismo viaggi a fasi alterne, con pochi fatti concreti e tante parole inutili, oltre che spesso sbagliate. Così, insomma, si va più indietro che avanti. E a farne le spese saranno sempre e comunque le persone, perché dietro ai calciatori - a volte lo si dimentica - ci sono (giovani) ragazzi che sul campo - ma anche fuori - dovrebbero preoccuparsi di tutto meno che delle loro origini, che già il gioco del pallone è complicato abbastanza. Oltre all'educazione di cui parlava Gasperini, quindi, servirebbe anche un po' di sensibilità. Ricordando che il razzismo è una cosa seria, da non confondere con altre forme di espressione del dissenso e di certo da non sottovalutare.