IL COLLETTIVO - C'è lui e lui soltanto, in una sala piena d'uomini catalizzati da un extraterrestre. Il carisma è un dono dal cielo, ma lui ha saputo farne uno stile di vita: accade solo ai più grandi. Accade solo ai fuoriclasse, invece, togliere da parte tutta quella storia e pensare costantemente al collettivo. 'Non importa vincere il Pallone d'Oro, quello che conta è vincere tutto con la squadra'. O almeno provarci, nelle intenzioni di Cristiano trasformate in inglese scolastico, ma comunque fine e pragmatico. Del resto, è il discorso più vecchio del mondo: se il calcio è un gioco collettivo, ci sarà un motivo. Ma se vincono sempre Cristiano o Messi, ce ne sarà pure un altro.
PARADOSSO - Vincono sempre i più forti, ma solo se accompagnati da giocatori al giusto e pari livello. Ronaldo si fa dolce e inevitabile paradosso quando scende dalla collina dell'io e parla dei suoi compagni: cita Bernardeschi a Cuadrado, oltre a questionati Dybala e Higuain. Dice che sono tutti forti, e usa un termine importante come 'huge'. Cioè grande. O meglio: enorme. La felicità che menziona è quindi una conseguenza: tutto è intorno a lui, però lui è intorno a tutto e a tutti. Soprattutto a Sarri, che gli siede di fianco e sorride delle sue ambizioni. 'Mentalmente è un passo avanti a tutti', l'occhiolino di MS. Che gioca d'orgoglio quando Cris si racconta 'felice', srotolando i motivi e riscontrandoli anche nella nuova direzione tecnica. Prime vittorie, qui a Torino.