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“Con la Juventus le partite vanno sempre a finire così”. In questa frase di Maksimovic, rilasciata alla DS nell’immediato post gara di Napoli-Juve, c’è condensata tutta la frustrazione e il vittimismo della Napoli pallonara, abituata a non accettare mai i verdetti del campo: domenica sera, all’andata (ricordo, finita 3-1), lo scorso campionato e in tutti i campionati precedenti. 

Un’abitudine che parte dal presidente e contagia in modo irreversibile dirigenti, allenatore, giocatori, tifosi. Ogni sconfitta con la Juventus equivale ad un torto ai danni del Napoli calcio ed un affronto all’intera città. Il male che si accanisce sul bene. I buoni e gli onesti perennemente sopraffatti dai cattivi, in un mondo privo di giustizia. Perché loro giocano meglio e meriterebbero più degli altri. Magari uno “scudetto di cittadinanza”, nell’attesa di riuscire a centrare una tantum quello vero. Potrebbe essere l’inizio di un welfare calcistico nei confronti di chi non ce la fa mai a vincere qualcosa, un‘idea da girare al campano Di Maio, ex steward proprio al San Paolo. Sai mai che…

“Partita condizionata da un episodio” ha detto Ancelotti. Quello dell’espulsione del portiere Meret per l’uscita imprudente su Ronaldo, lanciato a rete causa sbadataggine del compagno di squadra Malcuit (particolare ovviamente passato in cavalleria). Un rosso sacrosanto, a prescindere se il contatto ci sia stato o meno: è ininfluente. Lo hanno detto e scritto praticamente tutti i moviolisti, su giornali e tv (fuorché quelle di parte) ma a Napoli restano pervicacemente convinti del contrario, di essere stati fregati un’altra volta. “Sarebbe stato più semplice consultare il VAR, visto che c’è, dopodiché decidere” ha insistito Ancelotti, chiedendo in pratica l’ennesima forzatura al protocollo (non essendo chiaro ed evidente errore, l’arbitro non è costretto ad andare alla Var Review) oltre ad una rettifica istantanea del regolamento del gioco del calcio alla voce “chiara occasione da gol”. 

Sono assolutamente certo che, se Rocchi fosse andato a rivedere l’episodio alla moviola e confermato l’espulsione, Ancelotti e soci avrebbero avuto comunque da ridire. Sensazioni.

Perché sappiamo come funziona a Napoli: finché l’arbitro espelle Pjanic dopo un mani discutibile (doppio giallo) e riporta la parità numerica in campo già all’inizio del 2° tempo, concede un calcio di rigore (dubbio) alla loro squadra e non estrae il 2° giallo a Koulibaly dopo un fallaccio su Dybala, sta dirigendo bene. Se però, nonostante tutto questo, il Napoli non ce la fa nemmeno a pareggiare, allora parte la gogna, con tutto il San Paolo che applaude i propri giocatori quando non restituiscono una rimessa laterale agli avversari, cantando a squarciagola “ladri, ladri”.  Funziona così. E gli unici a stigmatizzare questa schizofrenia ossessiva, accompagnata da una totale mancanza di sportività (spesso rimproverata proprio dai napoletani agli avversari), siamo rimasti davvero in pochi, per giunta tacciati di non fare del giornalismo serio solo perché non ci accodiamo al gregge dei cantori del bel calcio napoletano, meritevole – a loro modo di vedere - di ben altra sorte e fortuna. 

Pretendono di vincere, e di ricevere i complimenti anche quando perdono, anche quando il loro idolo Insigne calcia un rigore sul palo, anche quando il loro distacco in classifica dalla squadra che li ha appena sconfitti in casa è appena salito vertiginosamente a 16 punti. Nonostante tutto questo restano convinti di meritare loro. Ribadisco, la loro ultima speranza si chiama Luigi Di Maio.