commenta
In una lunga intervista a Sports Illustrated, Weston McKennie ha raccontato il momento alla Juve e un episodio di razzismo che l'ha riguardato in prima persona. 

LA JUVE - "All’inizio ho pensato: ok, è un prestito, sembra un periodo di prova di un anno. Ma ora provo un senso di appartenenza, penso di aver trovato la mia nuova casa. Penso di poter giocare a questi livelli, con giocatori al fianco dei quali ho sempre sognato di giocare. Ho realizzato di poter stare al passo, di poter giocare insieme a loro, di poter avere un ruolo per questa squadra e di poter avere un impatto. Non sono più preoccupato come lo ero all’inizio. Non è facile per un giovane giocare a questi livelli, spero di poter dimostrare che le cose stanno cambiando, che anche un club come la Juve si può interessare a un calciatore come me o in generale al calcio americano. Sarà una sfida, non lo nascondo. Ma ho sempre amato le sfide".

NON CAMBIERO' - "Le barriere sono fatte per essere buttate giù. Sarò sempre fedele a me stesso, sono sempre stato quello che sono. Non cambierò perché parlo con Ronaldo o Buffon. Ovviamente li rispetto, ma non faccio passi indietro per cercare di fare colpo". DALLAS - "Sono tornato a Dallas e avevo paura di guidare di notte. Rappresento una nazione che a volte non mi accetta, soltanto per il colore della mia pelle. Sono un calciatore, e agli occhi di molti posso contribuire allo sviluppo del calcio americano. Ma sono anche un essere umano, non posso far finta di niente e rappresentare così un paese che non mi accetta”. Al punto da poter mettere in discussione la sua voglia di vestire la maglia a stelle e strisce: “Se la nazionale non dovesse supportare il movimento o i calciatori che vivono queste situazioni, direi qualcosa. Ne parlerei con miei compagni e se non mi dovessi sentire a mio agio potrei, sì, perché no, decidere di non partecipare al ritiro".

L'EPISODIO DI RAZZISMO - "C’era questo tizio sugli spalti (era una partita di Coppa, tra Schalke 04 e Drochtersen), mi chiamava una ‘scimmia di me...’ e faceva versi insieme ad altri insulti razzisti. Ho sempre cercato di non abbassarmi al livello di queste persone, di non dargli attenzione. Ma per me era la prima volta, era così surreale e non sono riuscito a capirlo, non sono riuscito a trattenermi e ho reagito. È stata la mia prima volta. Sono stato chiamato black o scimmia. Ma in quel momento qualcosa è scattato: capita a tutti, non solo sul campo da calcio. E non c’è sempre una recinzione a separarle. È stata la mia prima volta e mi sono reso conto che stava davvero accadendo. Non perché i media lo avessero esaltato, e non è che fossi particolarmente sensibile. Semplicemente, stava accadendo".

Ascolta l'ultimo podcast de IlBianconero.com: ecco Colpo di Tacconi con Stefano Tacconi