Ripercorrere i fatti di Calciopoli è un'impresa ardua, viste le mille contraddizioni: dalle condanne rapide pubblicate dai giornali, alle intercettazioni misteriosamente sparite, dalle affermazioni di pm che negavano l'esistenza di telefonate compromettenti, alle smentite pubbliche di figure come Moratti, fino al duro rapporto del procuratore Palazzi, che solo troppo tardi riconobbe le irregolarità, ma fu bloccato dalla prescrizione. Le sanzioni furono imposte, ma il sospetto che il tutto fosse stato gestito in modo parziale e sbagliato è forte.
Nonostante tutto questo - notizia del giorno -, ora ci si vanta di quei titoli ottenuti in circostanze discutibili. E invece di fermarsi alla seconda stella sulla maglia, qualcuno ha pensato bene di richiedere anche il trofeo fisico, ignorando che quello scudetto non era mai stato conquistato sul campo ma piuttosto frutto di una vicenda giudiziaria mai davvero risolta.
Beppe Marotta, ex direttore generale della Juventus, non aveva mai nascosto la sua amarezza riguardo al trattamento ricevuto, parlando di un "trattamento iniquo" nei confronti della sua squadra, rispetto a chi aveva beneficiato della vicenda Calciopoli. Eppure, quella stessa iniquità oggi sembra essere messa in ombra da un trofeo esibito come simbolo di una vittoria che non ha mai avuto un fondamento sportivo.
L'ipocrisia che permea il calcio italiano diventa ogni giorno più evidente. E ogni giorno emerge un nuovo esempio di come il sistema calcistico italiano non riesca mai a fare i conti con la verità, preferendo mantenere un silenzio complice e accettando senza battere ciglio situazioni così, che l'importante è trovare un colpevole.