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Ripartire anche con la consapevolezza che il rischio zero non esiste. E' quello che Claudio Marchisio, leggenda della Juventus ed ex centrocampista bianconero, pensa dell'eventuale ripresa della Serie A: "Mi auguro che si torni a giocare - racconta a Tuttosport - perché voglio pensare in modo ottimista e perché amo il calcio e sinceramente mi manca. Ora leggo che il problema sarebbe il rischio di contagio e non vorrei si aspettasse il rischio di contagio zero perché il rischio zero in uno sport di contatto non può esistere. Bisogna cercare di strutturare tutto al meglio perché il rischio sia zero allora non si ripartirà mai. E come il calcio non riaprirebbero mille altre attività che avrebbero lo stesso diritto del calcio di ripartire".

CALCIO - "Il calcio non deve riprendere per assegnare lo scudetto e decidere promozioni e retrocessioni. Ma perché chiudere questa stagione significa porre le basi per la prossima. Anche perché non ci sarà differenza tra maggio e settembre. Anzi, se si dà ascolto a certi scienziati l'estate potrebbe essere una stagione che aiuta a limitare moltissimo i contagi., ma dall'autunno potrebbe esserci un ritorno a livello più alti. Insomma, il finale di questa stagione porrebbe dei problemi che si potrebbero risolvere in vista dell'inizio della prossima. Altrimenti non si riparte mai e alla fine ci rimettono le persone di cui parlavamo prima, quelle centinaia di migliaia di lavoratori che hanno stipendi normali con cui pagano il mutuo, non la Ferrari".

EVENTUALE STOP - "La decisione sarebbe da rispettare ma allora lo stato dovrebbe prendersi delle responsabilità perché in questo momento servono decisioni concrete per mandare avanti l'economia del paese, economia di cui il calcio fa parte con altre aziende e settori fermi in questo momento. Mi spaventano le tante parole e i pochi fatti di quei decreti e mi preoccupo da imprenditore io ho tre ristoranti. Le società di calcio fallirebbero senza la ripartenza, provocando la perdita del lavoro non solo dei giocatori ma soprattutto dei lavoratori".

COMPAGNI - "Ho sentito Rugani e Dybala. Paulo l'ho chiamato proprio l'altro giorno quando è finalmente uscito ed era molto sollevato. Da quello che mi hanno raccontato hanno avuto paura ma non problemi gravi. Certo hai l'ansia di avere una malattia per la quale muoiono migliaia di persone e lo senti dire ogni sera ma non avevano sintomi problematici. Il peso psicologico incide".

CALCIATORI ALL'ESTERO - "Se ho sentito qualcuno? Si, mi ha fatto rabbia sentire che erano scappati. Ma secondo voi se mi fosse capitata una cosa simile quando ero in Russia sarei rimasto lì a fare la quarantena o sarei tornato a Torino dalla mia famiglia? Dai, siamo seri".

RIPRESA - "In questo momento il calcio è nelle grinfie di questa situazione come qualsiasi altra attività, come qualsiasi persona. Ma se si parla di calcio bisognerebbe però sapere che si tratta di una delle prime dieci industrie del Paese, con un indotto molto importante e un movimento di massa che coinvolge milioni di persone di qualsiasi età. Il calcio non è solo l'élite di giocatori milionari che finiscono sulle copertine e sono i re dei social. Andando in fondo troviamo prima i giocatori di Serie B e di Serie C, che già hanno un altro tipo di trattamento economico, poi abbiamo i giovani tra i 19 e i 20 anni che vorrebbero entrare nel mondo dei professionisti, ma non è detto che possano farlo. E scendendo abbiamo chi lavora con il calcio, chi svolge mansioni molto meno visibili di quelle dei calciatori, ma che grazie ai calciatori e al movimento che creano, può portare a casa uno stipendio per mantenere la propria famiglia. Mi riferisco ai magazzinieri, ai fisioterapisti, agli addetti alla sicurezza, a tutti i giornalisti e operatori dei media che portano il calcio nelle case degli appassionati. Bisogna dare grande attenzione al calcio, ma soprattutto conoscerlo fino in fondo".