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A La Gazzetta dello Sport, Claudio Marchisio ha raccontato la sua vita. In bianco e nero.

TARDELLI - "Io il suo erede? Ci unisce il passato calcistico nella Juventus, in Nazionale. E sicuramente anche il ruolo, la propensione a difendere, costruire, segnare che hanno fatto grande Marco, fino a quell’urlo che è il simbolo del calcio italiano. Avevamo forse caratteristiche diverse, ma queste sono legate al cambiamento del calcio. Il football è sempre in evoluzione per cui nessuno, nel tempo, è mai del tutto uguale a un altro. Quello che certamente ci faceva simili erano la grinta, la determinazione, la voglia di vincere. In una parola: il carattere".

JUVE - "Il mio sogno da bambino era legato certo al calcio, ma molto anche alla Juve, alla squadra della mia città, agli idoli che ho avuto durante gli anni della scuola. Indossare quella maglia sarebbe stato veramente l’apoteosi, dentro la mia testa e il mio cuore. Gli apprezzamenti avuti dall’estero durante la mia carriera sono stati molto belli e gratificanti. Anche perché ero legato tantissimo, soprattutto nel periodo in cui mi stavo avvicinando al calcio professionistico, a grandi centrocampisti come Lampard e Gerrard che invidiavo molto per la loro grande capacità di andare a rete. Anche io volevo essere un centrocampista che segnava quindici o sedici gol durante una stagione".

SIGNIFICATO - "Ricordo sempre una conversazione con Andrea Agnelli, alla fine degli anni duri, in cui gli dissi: “Io non voglio essere uno di quei, pochi, giocatori che nella storia Juve non hanno vinto niente. Credo che anche tu da presidente non voglia essere uno di questi”. Perché arrivavamo dalla B e da due settimi posti. In quel tempo si sono rafforzate le mie radici bianconere, mi dicevo che la mia carriera alla Juve non poteva essere mediocre, che i grandi giocatori che avevo intorno ed io stesso meritavamo di legare i nostri nomi a risultati importanti. Così siamo arrivati a quel ciclo vincente che continua, per fortuna, ancora oggi".

CHAMPIONS - "Nel calcio in Italia si guarda sempre ciò che non si è riusciti a fare e non si guarda mai ciò che uno è riuscito a fare. Man mano che passavano gli anni mi dicevo: “Abbiamo fatto tutti i record, abbiamo vinto sette campionati, tre Supercoppe, tre Coppe Italia. Siamo arrivati due volte in finale di Champions. Quante squadre hanno fatto qualcosa di simile? E dovrei essere scontento?".

ALLENATORE IMPORTANTE - "Deschamps è stato allenatore della Juve in un periodo difficilissimo. In serie B ha creduto in me, mi ha dato l’opportunità di giocare da titolare. Nello stesso tempo mi trattava veramente come l’ultimo arrivato, come un ragazzino al quale insegnare il rispetto dei ruoli. La sua cultura francese, tosta, mi ha insegnato molto. E poi sicuramente Antonio Conte perché, al di là di quello che mi ha regalato in campo, a me come ad altri ci ha toccato nell’orgoglio. Ci ha detto: “È due anni che arrivate settimi, è due anni che fate schifo. Quindi qua o si pedala o si va via”. Ci ha spinto a metterci alla prova, ad aver voglia di guadagnarci le vittorie. Loro due sono quelli che mi hanno cambiato, tanto".

DA RIVIVERE - "Vorrei tornare indietro e rigiocare il Mondiale del Brasile nel 2014. Non riesco a dimenticarlo. Stavo molto bene fisicamente, anche nelle partite premondiali segnavo in ogni amichevole, ho segnato nella prima giornata con l’Inghilterra. Eravamo un buon gruppo, il gruppo solido che due anni prima era arrivato in finale all’Europeo. Dopo la prima partita ci siamo sfaldati in campo e fuori e non siamo riusciti neanche a passare il girone. Vorrei ritornare indietro e dare molto di più".

ESPULSO - "Due espulsioni in tutta la carriera, una col Napoli in Serie B e una quel giorno, con l’Uruguay. Ci rimasi veramente male. Infatti si possono vedere ancora le immagini in cui vado subito da Prandelli. Gli chiesi scusa, l’espulsione era ingiusta, ma per colpa mia restavamo in dieci. Mi scusai perché, senza volere, avevo messo in difficoltà la squadra, in un momento molto difficile".

INCIDENTE - "Finché non lo provi non puoi capire che cosa sia, avere un infortunio di quell’entità. Dopo mi è cambiato il modo di correre, di muovermi, la reattività. Il cervello ti certifica che non sei più lo stesso. Non vuol dire che non puoi ritornare ad alti livelli, perché tanti giocatori ci riescono. Però ti cambia tanto, a cominciare dalla costituzione fisica: per mantenere il ginocchio più forte sono aumentato di peso soprattutto nelle gambe, quindi l’agilità che avevo prima non l’avevo più. Ho cambiato ruolo, modo di correre. È stata una giornata che non potrò mai dimenticare: il campionato era praticamente vinto e io mi stavo già preparando all’Europeo. Conte aveva rigenerato la Nazionale e infatti facemmo bene. In quei secondi, quando cadi per terra, più che al dolore pensi già al dopo. Il calciatore vive la vita programmata tutti i giorni, segue determinati orari, determinati programmi e tu in quel momento capisci che tutto cambierà. Sarebbe stata la mia ultima competizione internazionale. Non lo è stata. Sono momenti duri. Solo la famiglia può aiutarti a uscirne".

SMETTERE - "Già l’anno scorso – quando ad aprile è stato operato per l’ultima volta l’altro ginocchio, quello destro, ndr –, incominciavo a capire che non sarebbe stato facile uscirne. Mi sono infortunato ma stavo già male e non lo sapevo. Mi sono ritrovato con il menisco fuori dal ginocchio e quindi con tibia e femore grattati,senza più cartilagine. Io ci giocavo sopra perché lo reputavo un dolore accettabile, invece quest’operazione l’ho dovuta fare rischiando una protesi al ginocchio a quaranta anni. Quando cominci a vedere determinati conti che ti arrivano addosso non puoi solo più pensare al calcio, ma devi pensare anche alla tua vita. Non potevo prendermi in giro: in campo la mia testa voleva fare qualcosa ma il mio corpo non riusciva più a farlo. Così è subentrata la frustrazione che è una brutta bestia nera. Poi sapevo che non avrei mai potuto indossare un’altra maglia in Italia, avrei dovuto dunque cercare una sistemazione all’estero, sapendo di giocare soltanto forse un anno. Insomma dentro di me avevo già coltivato i miei progetti, non sono mai stato uno che voleva farsi trovare impreparato nella vita, quindi già prima di smettere avevo già incominciato alcune cose e sapevo già più o meno che strada prendere". DA GRANDE - "Io penso di essere nel momento della semina. Sto cercando di spargere più semi in giro per il campo per vedere cosa poi, dopo l’inverno, possa crescere in primavera e in estate. Sto cercando di ascoltare molto, di imparare il più possibile, di capire cosa possa essere Claudio dopo il calcio".

CALCIO - "Ho la passione del calcio, la mia vita è stata il calcio, sicuramente interpreto le partite, quando le vedo, quasi come se fossi un allenatore, ma non credo di prendere quella strada. Per me sarebbe molto più stimolante ed interessante la parte dirigenziale o manageriale come procuratore per potere lavorare a diretto contatto con il singolo sportivo e non con una rosa intera".

ODIO - "L’odio sta nascendo per la strumentalizzazione di paure sociali vere. Il mondo va ad una grande velocità ed è diventata troppo ampia la forbice tra chi sta bene e chi non ha veramente niente. L’informazione doveva aiutare il mondo ad aprirsi con tutti quanti e invece sta alimentando la chiusura in se stessi. L’odio sta crescendo anche per responsabilità di una politica che strumentalizza temi complessi come l’immigrazione per cercare di trovare soltanto consensi per i propri discorsi. Questa è la cosa più preoccupante. Nello stesso tempo ho sempre grande e piena fiducia nelle persone che non credo vogliano farsi risucchiare in una spirale di odio che avvelena la vita di tutti. Non si deve mai perdere la convinzione delle proprie idee, non bisogna mai farsi utilizzare, influenzare su temi difficili che non possono essere semplificati all’estremo".

LADRI - "Per il fatto che ho sempre cercato di difendere le persone deboli. A parte che è stata un’esperienza che non auguro a nessuno. Non saprei neanche descriverla bene, perché sono stati i trentacinque minuti più lunghi della mia vita. All’inizio sono stato attaccato perché dicevano: “È giusto, te la sei cercata perché hai difeso quelle persone che sono venute a casa tua”. E all’inizio, prima ancora delle indagini che ci sono ancora, non sapevo neanche che persone potessero essere. Esistono persone che pur di andare avanti nella vita si rendono responsabili di questi reati. Dopo ho scoperto che nella realtà era un gruppo organizzato che fa questo. Però lo stesso non cambia la mia reazione. Non posso prendere un episodio della mia vita e andarlo a scaricare sul mondo intero con rabbia e con odio. Non è quello il modo giusto".

SCUDETTO - "La superiorità in campo della Juve la si può leggere dai nomi, dall’esperienza e dal costo dei cartellini di alcuni giocatori. Ma non vuol dire niente, il bello dello sport è proprio che a differenza di altri mondi, c’è sempre l’aspetto emotivo, di gruppo, di squadra. C’è il sacrificio e la voglia di vincere. L’Inter sta facendo questo percorso con un allenatore molto preparato, capace di integrare bene i nuovi in un contesto in cui si stava sgretolando tutto quanto. È riuscito ad amalgamare bene un gruppo che in realtà, a parte due o tre giocatori, è lo stesso degli ultimi anni. È lì che si capisce quando un leader riesce a cambiare un gruppo".

GIOCO - "Juve? Non tanto diverso, in verità. Ma credo comunque che ci voglia tempo per un allenatore che arriva in un contesto molto diverso rispetto alle squadre che ha allenato prima. In una squadra come la Juventus, che ha degli obiettivi importanti, devi essere sempre lassù, non conta alla fine in che modo, l’importante è essere sempre lì e la Juve comunque anche ora è lì. Credo che Sarri col tempo riuscirà a trovare una quadra definitiva e per la Juventus, come per le grandi squadre, la quadra deve arrivare a febbraio-marzo".

CENTROCAMPO - "Come iil nostro? No, sinceramente no. Eravamo veramente completi in tutto, ognuno di noi si amalgamava bene con l’altro e alla fine siamo riusciti a giocare insieme per più tempo soltanto in un anno, che poi è stato quello della Champions di Berlino. Io sono convintissimo che il centrocampo sia quello che decide il livello di una squadra, è l’unico settore dove tu devi essere presente in qualsiasi fase di gioco ed è il reparto che fa da collante. Se non c’è un buon centrocampo una squadra fa molta più fatica e anche quest’anno, al di là del cambio dell’allenatore, credo che alla Juventus qualcosa a centrocampo manchi. Lo si vede soprattutto dai gol in più presi rispetto all’anno scorso. E da quelli che i centrocampisti non fanno? Sì, anche da quelli».

ALLEGRI - "Tutti legano il mio rapporto con Allegri soltanto agli ultimi anni, nei quali lui mi faceva giocare di meno. L’allenatore ha delle scelte da fare, deve prendere delle decisioni che possono essere giuste o sbagliate, l’importante è che poi uno si assuma la sua responsabilità. Il giocatore alla fine deve accettare, se non gli va bene è giusto che vada via o cerchi di fare qualcosa in più per migliorare. Con Max i primi anni avevo avuto un rapporto ottimo, mi ha cambiato anche di ruolo. È vero che già Conte, per qualche infortunio di Pirlo, mi aveva spostato davanti alla difesa, ma a differenza di Antonio che dava compiti precisi ad ogni ruolo, in varie partite Max invece mi lasciava più o meno libertà in base all’avversario, quindi mi responsabilizzava molto. Anche con lui ho fatto una crescita importantissima e lo ringrazierò sempre".

CASTROVILLI - "Forse sì. È partito molto bene, è al primo campionato importante, si è presentato in una squadra in cui ha comunque delle difficoltà, ma lui è riuscito a esprimersi nel migliore dei modi. Ho sempre amato i giocatori duttili. Il primo consiglio che mi diede mio padre da bambino fu: “Tutto ciò che fai ora col destro, subito dopo lo fai col sinistro”. Io all’inizio col mancino inciampavo sul pallone, non ero in grado. Lui mi spiegò: “Devi farlo, perché la percentuale dei giocatori che sanno usare tutti e due i piedi è veramente limitata e tu devi entrare in quella”. E questo vale anche per i ruoli, nel calcio moderno bisogna saper fare più ruoli. Fino a un certo punto me lo rimproveravano, ma poi è diventata una qualità importante, perché mi dava la possibilità di giocare, in vari ruoli, più partite. Castrovilli è uno di questi giocatori di centrocampo duttili, come Barella, che mi piace molto".

COSA MI MANCA - "Il profumo dell’erba bagnata. Con la Juve si giocava spesso la sera. Scendevi in campo e sentivi l’odore del campo bagnato per l’umidità, la pioggia, con il verde elettrico dato dalla luce dei riflettori. Una magia. Quella mi manca, sicuramente".