RETROSCENA ZIDANE - «Lo incontravo ogni tanto la sera, rientrando a casa dal ristorante, in piazza Carlo Alberto. Erano le dieci e lui era lì che giocava a pallone con amici algerini, a volte senza scarpe. Gli dicevo: “Zizou, ma che fai! Rischi di farti male!”. E lui: “Tranquillo, mister, sto con amici”. Quello per lui era importante, gli amici, anche se era un big mondiale».
CAMPO E PANCHINA - «Proprio così. Da tecnici rispecchiano il loro “io” calciatore. Zizou aveva una grande capacità: comunicava senza parlare tanto. Bastava un gesto. Mi sembra sia lo stesso in panchina, mi ricorda Pirlo. Antonio era un generoso e dava tutto in ogni situazione. Anche in allenamento. Se qualcuno rischiava a “rilassarsi”, era il primo a urlare: “Ehi, qui si corre tutti!...”».
CONTE - «Come una batteria che si carica da sola e dà energia agli altri. Era il capitano, i tifosi gli dedicavano i cori, s’infortunò. Doveva star fuori a lungo. Nello stesso periodo Del Piero aveva qualche problema: non riusciva a dare il meglio. Una sera, parlando con Peruzzi, venne fuori un’idea: e se gli dessimo la fascia? Improvvisamente responsabilizzato, Ale ritornò grande. E quando Antonio recuperò dall’infortunio gli spiegai: “Non ti ho tolto la fascia, ho solo aiutato Ale, adesso gliela lascerei”. E lui: “Nessun problema”. Ma gli spiaceva, e si capiva. Non poteva essere diversamente».
ZIDANE - «No, era molto concentrato, ci teneva sempre a far bene. Ha avuto un momento difficile all’inizio, quando non riusciva a giocare come voleva. Venne da me un po’ affranto: “Mister, non riesco a esprimermi, forse è meglio che me ne vada”. Lo guardai e gli dissi: “Ma sei impazzito? Ti assicuro una cosa: finché sarò allenatore della Juve tu giocherai sempre!”. Si mise a ridere, ci stringemmo la mano, quella domenica segnò due gol. Non si fermò più».