Caro Paolo,
L’ultima volta che ti ho visto, dormivi. Avrei voluto svegliarti per dirti che non era mica ora del sonno, quella. Tante cose aspettavano di essere fatte ancora. Non ho osato chiamarti. Eri così rilassato e sereno. Più di sempre. Mi stupiva un poco il fatto che indossassi la cravatta, tu che mal sopportavi nodi al collo. Te lo avrei fatto notare dopo quando avresti riaperto gli occhi.
Amico mio, ancora adesso fatico ad ammettere che stavo ammirando un angelo volato tra le stelle dopo aver abbandonato il suo fragile involucro. Ancora oggi non riesco a smettere di cercarti per parlare con te. Non è difficile. Ti trovo sospeso tra le foglie dei platani che circondano la tua casetta ai Ronchi dove la sera prendevamo il fresco insieme con Niki e con mamma Amelia. Ti vedo sul pelo della battigia dei Bagni Bemi che sono la spiaggia della brava gente, quella normale. Quella che fa le ferie, non la villeggiatura. Ti sento raccontare storie sempre nuove con in mano un bicchiere di bianco nel fine cena al Pancino, che non è esattamente un ristorante per russi e parvenu. Si mangia bene e stop. Sono i tuoi posti delle fragole. Dove eri e sei Paolo e basta. Il ragazzo di tutti che ha che ha sempre un sorriso per ciascuno.
Ci hanno legato 45 anni di amicizia sincera e spesso estranea alle nostre professioni. Dai giorni di Vicenza dove andavamo a mangiare dal Giaccio e poi io avrei dovuto scrivere il mio articolo su di te e su quella stupenda banda di ragazzi con la maglia biancorossa. Mi addormentavo puntualmente davanti all’Olivetti lettera 22. Troppo buono era stato il fragolino fresco. Poi nella tua casa ai piedi dei Colli Berici: poco calcio e tanta vita. Anche quella di due ragazzi padri, tu per Alessandro e io per Chiara. A Torino, poi. La colazione nel baretto della Gran Madre, il pranzo da Mauro (cannelloni alla Mirella: golosa abitudine, ricordi?), il pomeriggio alla Galleria d’Arte Moderna dove esponeva Calder. Ti piacevano le cose belle. A ripensarci bene, lungo tutto quel cammino io non sono mai stato un giornalista e né tu il bomber campione del mondo. Due semplici viaggiatori su questa Terra.
A questo ho pensato nei dieci minuti che ho trascorso con te guardandoti dormire. Queste le scene che ho rivisto alla moviola di un film bellissimo, irripetibile per cineamatori. Ed e per questo motivo che stasera ho deciso di farmi in disparte lasciando ad altri il privilegio di raccontare Pablito e il suo Kolossal. Preferisco cercarti, vederti e parlarti come quel giorno che dormivi e sognavi te stesso, semplicemente Paolo, con un mazzo di rose rosse in mano da regalare ogni giorno a Federica, la tua grande donna, a Sofia Elena e a Maria Vittoria le tue principesse. Paolo, è la prima estate senza di te nella tua Versilia. Fa un caldo africano, ma certi pensieri mettono i brividi.