TUTTI I FLOP - Non l’ha fatto il lento Pjanic, poco capace di fronteggiare la pressione avversaria a ridosso della propria area, anche se spesso abile nell’ultimo passaggio filtrante in attacco. Non lo fa Bentancur, in perenne maturazione, apparentemente non in grado di coprire egregiamente le due fasi. Rabiot si segnala per qualche “break” - come si dice - con, relativa, spettacolare sgroppata in avanti, ma non è l’uomo del necessario buon governo. Per questo, si puntava su Arthur, come pedina chiave. Fino ad ora lo è stato? Bravissimo a tenere la palla attaccata al piede, a liberarsi nel centro della propria metà campo per ricevere e smistare. Ma qui, nello smistare, sorgono i problemi. Dinamico, agile, tecnico, manca - come dice Capello - di visione ovvero restituisce il pallone nel più sicuro, piatto e banale, dei modi. Non che si debba sempre illuminare, lanciare a 40 metri, aprire diagonali affilate, arrivare a tirare in porta dal limite (di Pirlo, appunto non ne vediamo). Però portare avanti il pallone di qualche lunghezza e passarlo indietro, triangolare, magari al volo come si giocasse a rugby, girare su se stessi in una specie di giostra statica, che si muove molto soprattutto sul proprio perno, non sembra davvero una gran soluzione.
DALLA DIFESA - È più un’onesta parodia di quello che fu, con ben altra qualità, il gioco del Barcellona. Arthur perde pochi palloni, a patto di non uscire dal guscio. Utile, sì; determinante o quasi, no. È vero: i passaggi di solito si fanno in due, uno lo detta, l’altro lo esegue e forse tutta la Juventus attuale gioca poco senza palla, ma sta di fatto che i lanci e gli appoggi migliori, nell’ultima di Champions, li hanno fatti due difensori: Danilo e De Ligt. Sono loro a dover ispirare gli attaccanti? In una o due partite può andare, altrimenti si gioca, appunto, sull’equivoco. Di centrocampo.
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