A poche giornate dalla fine del girone d’andata, chiuso il primo turno di Champions, è possibile formulare qualcosa di più d’un’episodica osservazione sulla Juventus. Si dice da un po’ che questa è una squadra sperimentale. Ci sono fasi che meglio di altre riassumono l’esperimento in corso e da cui possiamo trarre già un giudizio. Questa è una di quelle.
DIFFERENZA DI GIOCO - La partita di ieri sera contro un buon Milan (ha dimostrato di non essere un fuoco di paglia) ci ha detto che la Juve gioca peggio contro le “piccole” squadre. Assai meglio con le “grandi”. Per “grandi” intendiamo quelle che l’affrontano senza stravolgere il loro tipo di gioco e senza fare le barricate. Solo nel primo tempo contro la Roma, che peraltro giocava su belle verticalizzazioni centrali in ripartenza, la Juventus ha riacciuffato per i capelli la partita. Non così contro Sampdoria, Lazio, Barcellona, lo stesso Milan. In questi casi ha condotto i giochi in maniera proficua perché - sembrerà un paradosso - ha saputo subire. In altri casi no. Crotone, Spezia, Benevento, Fiorentina, al di là dei risultati, hanno detto che aggredire a testa bassa contro un doppio muro di 9-10 avversari significa ingolfare gli spazi. Al contrario, soffrire in parte nel proprio centrocampo vuol dire liberarli. O meglio trovarli. Lo abbiamo di nuovo visto ieri sera, dopo il secondo tempo con l’Udinese.
MORALE DELLA FAVOLA - Il nuovo gioco della Juve si modula molto più proficuamente sul vecchio adagio che recitava “prima di tutto creare gli spazi” e gli spazi si creano soprattutto a difese e centrocampi avversari non sovrapposti o raccolti in una ventina di metri davanti all’area. Forse non la difesa alta, l’assedio permanente voluto da Pirlo, bensì la capacità di saper anche subire, governando gli attacchi altrui: sembra che per la Juventus un po’ di sofferenza, sia al momento, necessaria per gioire.