La risposta, spalmata nel tempo, riuscì a darla senza fare troppo chiasso e senza vantarsi più del lecito un uomo che oggi non c’è più perchè se ne è andato poco più di un anno fa, ma la cui presenza continua a farsi sentire attraverso i pensieri e le opere di coloro che sono stati chiamati e rilevarne l’eredità per gestirla secondo quella che era stata la sua politica sportivo-industriale. Una filosofia vincente e non soltanto sul campo di gioco.
Fu proprio lì, dal terreno dove avrebbe fatto esibire il suo gioiellino, che Giorgio Squinzi partì per dare forma e sostanza alla sua strategia di crescita graduale ma costante. La “fondazione” di uno stadio di proprietà. Una mossa che, battezzata soltanto dalla Juventus, si rivelò fondamentale per ciascuna società che volesse coltivare l’ambizione del successo e della solidità. Non a Sassuolo, per ovvie ragioni, ma nella vicina e più grande Reggio Emilia sorse lo stadio “Mapei”, una griffe che nello sport aveva già seminato molto e bene con il ciclismo.
Da quel punto in avanti per il Sassuolo di questo presidente non imprestato al calcio per caso o per boria si iniziò un crescendo magari non rossiniano ma certamente suggestivo e intonato con i canoni imposti dallo spettacolo calcistico di casa nostra. Il tutto contrassegnato da una nota distintiva di altissimo valore. La parola d’ordine “in primo luogo gli italiani e soprattutto i giovani” stava sopra ogni altra cosa e non venne mai tradita.
Fu così che a differenza di ciò che, per esempio, accadde per il Chievo la piccola azienda artigianale Sassuolo, del geniale Squinzi, si rafforzò senza la necessità di imboccare scorciatoie talvolta poco trasparenti e divenne ciò che è oggi. Quel modello esemplare di made in Italy che oggi si presenterà a Torino, contro la Juventus, definitivamente spogliato dal sospetto iniziale che lo voleva stella filante e provvisto di quella dignità di eccellenza in grado di far spendere la parola “Europa” senza il timore di pronunciare una bestemmia.