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Venticinque anni dopo la Champions League di Roma. A Gazzetta, l'intervista a Marcello Lippi. 

IL PRIMO PENSIERO - "Dopo i rigori? La consapevolezza che fosse un trionfo eccezionale. La Juve è abituata a vincere, ma fino a quel momento aveva sollevato una sola volta la Coppa dei Campioni e in una notte tragica".

QUELLA SQUADRA - "Come nacque? Dai primi allenamenti: erano blandi, a ritmi bassi. Riportai la massima aggressività, organizzai tantissime esercitazioni “perdo palla, attacco palla”, cosa che adesso fanno tutti. Furono determinanti le caratteristiche degli attaccanti che secondo me determinano il modo di giocare di una squadra. Vialli, Ravanelli e Del Piero avevano grande forza oltre che classe".

REAL MOMENTO CHIAVE - "Il girone lo dominammo: Del Piero realizzò una serie di gol stupendi, a giro. Quell’anno inconsciamente la nostra testa era sintonizzata solo sulla Champions. Al Bernabeu perdemmo 1-0, ma al ritorno Del Piero e Padovano la ribaltarono. In semifinale con il Nantes si sbloccò anche Vialli, che però non soffriva per la mancanza del gol. Tra me e Luca c’era un rapporto speciale. Quando avevo bisogno di mandare un messaggio al gruppo, chiamavo lui e gli dicevo: “Oggi durante l’allenamento ti rimprovero”. E i compagni recepivano".

FINALE STREGATA - "Al 120’ ero sereno e nel tempo ho avuto la conferma che lo sviluppo della partita incide sui penalty. Ricordo la bellezza e la fierezza di quegli sguardi prima dei rigori con l’Ajax: una bellissima sensazione. C’è una correlazione importante tra stato d’animo e percentuale di realizzazione".

FERRARA E PESSOTTO RIGORISTI - "Perché i primi tiri possono indirizzare il risultato. E allora mandai sul dischetto due ragazzi saggi, che sapevano controllare le emozioni. E segnarono, come fecero dopo Padovano e Jugovic. Il quinto rigorista sarebbe stato Del Piero, ma non fu necessario perché Peruzzi ne aveva parati due. Jugovic entrò al posto dell’infortunato Conte. Ma non è mai stato difficile fare una formazione alla Juve: tutte quelle vittorie sono possibili solo se i giocatori sono bravi e intelligenti".

MALEDIZIONE CHAMPIONS -"Non lo so. Con me il bilancio è di quattro finali, di cui tre consecutive. Era una Champions diversa, ma se arrivi in fondo per tre anni di fila significa che stai dominando il calcio europeo. E andavamo in finale vincendo sempre il campionato, tranne nel 1996. E’ difficile portare avanti le due manifestazioni".

NUOVO CICLO - "Dico solo che non si può vincere sempre e che la cosa più importante è rinnovare mantenendo un alto livello di competitività. Così il tifoso può sempre sognare di vincere e se poi non arriva il successo... beh, pazienza. Lo sport è questo".