Thiago Motta viaggia per la sua strada, credendo al 200 per cento nella sua filosofia. E fa benissimo, perché i risultati si vedono e premiano il coraggio collettivo. In primis quello dello stesso allenatore che, pur alle prese con qualche errore di valutazione qua e là, fin da subito ha dimostrato di avere le idee chiare.
Questa Juve, nel bene e nel male, ha un’identità. Ed è munita di ampi margini di miglioramento. In parole povere: tra le big italiane è proprio la Signora ad avere più speranze di crescita; a fronte di un’autentica rivoluzione estiva. Alzi la mano chi si sarebbe mai aspettato che Madama potesse essere così avanti nel suo cammino dopo l’inserimento di (ben) dodici nuovi calciatori. Ecco, in pochi, o forse solamente i fanatici del #ThiagoMottismo. Che non esiste, in quanto esiste la Juve e gli obiettivi si raggiungono in maniera corale.
Tuttavia, balza all’occhio constatare come sotto lo sguardo attento di TM diverse pedine stiano crescendo in maniera esponenziale. L’esempio degli esempi: Manuel Locatelli. Tutt’altro interprete rispetto al passato juventino, rivitalizzato a tal punto da essere rientrato in extremis nel giro della Nazionale. Da mister compitino a punto di riferimento, dai passaggi rugbystici ad aperture poetiche. Anche nei momenti più complicati di questa prima parte di stagione, beh, il 26enne di Lecco non ha sbandato. Alle volte elevandosi persino dalla mediocrità generale. Ogni riferimento a Juve-Parma è puramente voluto.
E poi si crea valore, eccome, lanciando giovani di belle speranze. Emblematico il caso di Nicolò Savona. Dalla Next Gen alla Nazionale maggiore, passando dal lavorone offerto da Thiago Motta e staff. Che, fin dal giorno -1 del pre season, hanno avuto il merito di credere nel potenziale del terzino. Morale della favola? 14 gettoni conditi da 2 goal, entrambi realizzati in Serie A. Scusate se è poco.
Non mancano le note dolenti, e non potrebbe essere altrimenti osservando il cambiamento epocale, con due giocatori chiamati a dare segnali nel breve e lungo periodo. Il primo è Douglas Luiz, colui che si pensava – in estate – che rapidamente potesse prendere in mano il centrocampo. Continuo a credere che, uno così qualitativamente eccelso, sia destinato ad affermarsi pure in Italia. Ma occorre un cambio di mentalità, specialmente dal punto di vista tattico, meno fùtbol bailado e più concretezza. Altrimenti con uno come Thiago non giochi mai nella vita.
L’altro è Nico Gonzalez, fin qui sempre indisponibile. C’è chi sostiene che la Juve, considerando lo storico degli infortuni, non avrebbe dovuto investire oltre 30 milioni per l’argentino. Opinione legittima, ci mancherebbe, ma prima di sentenziare aspetterei di vederlo all’opera (almeno, speriamo) per una decina di gare. Ad oggi siamo al non giudicabile, senza voto, e non è che sia una bella situazione.
Vogliamo parlare di Timothy Weah? Rinato. Dentro il progetto, dentro le azioni, dentro l’area di rigore. Che l’americano, primo e secondo palo, sa attaccare con i tempi giusti. E tanti saluti a coloro che, a cuor leggero, se ne sarebbero privati dopo una prima stagione nel Belpaese all’insegna dell’apprendistato (scandita da parecchi guai fisici).
Momento lacrime sotto la doccia. L’infortunio di Gleison Bremer è stata una mazzata tremenda. Per il rendimento clamoroso del calciatore, l’emergenza numerica, e il valore dei compagni. Senza il brasiliano faticano tutti, nessuno escluso. Meno straripante Gatti, meno sontuoso Kalulu. Danilo, dal canto suo, meriterebbe un capitolo a parte e qui si ritorna agli errori di valutazione by Thiago Motta: l’importante è non scadere nel protagonismo.
A gennaio, che non è poi così lontano, la palla passerà nuovamente nelle mani di Cristiano Giuntoli. Chiamato a puntellare la rosa, il tutto cavalcando l’onda della sostenibilità, il Football Director nel corso dell’ultima sessione di mercato ha messo sul tavolo letture eccellenti e carattere. Arriverà un difensore centrale, valutazioni in corso per rinforzare l’attacco: vice Vlahovic o tassello poliedrico?