E' finita, sì. Stavolta per davvero. La corsa scudetto è diventato un tapis roulant in pendenza: per quanto ti affanni, il passo dopo l'altro ti porta sempre allo stesso punto. Andare avanti vuol dire solo accumulare stanchezza, e di stanchezza questa squadra ne ha tanta. Nella testa, nelle gambe, nelle sensazioni che si fanno adesso certezze: è finita la benzina mentale che stava trascinando e che sembrava potesse durare fino all'ultima giornata, al caldo di maggio.
L'Inter è a sette punti e ha la possibilità di finire a dieci lunghezze con la vittoria nel match di recupero. Neanche quindici giorni fa si parlava di più quattro, del miracolo di Max, della forza di un gruppo svuotato da primedonne e forte solo delle armi in proprio possesso: coesione, colpi, qualità palla al piede. La velocità di crociera è diventato uno scontro diretto con un iceberg: avvicinandosi al momento caldo, è emerso insieme alle insicurezze. Un botto inevitabile. Fragoroso. Assordante. La domanda da porsi non è quella sul futuro - ci sarà tempo -, ma vale la pena farla sul passato: cos'è stata, allora, la Juve? Tutta un'illusione, un gioco di inerzia, una squadra basata sui nervi e sulla felicità effimera di una vittoria? E' stata anche questo, certo. Ma è stata principalmente un gruppo fondato su una missione: provare a rendere possibile quello che, Max per primo, pensava fosse impossibile. Aveva ragione, col senno di poi. Atteggiamento incomprensibile, ripensandoci subito dopo.
La Juve ha ammesso la possibilità di fare un passo falso non appena si è slegata dalla necessità stringente di vittoria. E' tornata a nascondersi dietro la gonna che ha spalancato Max Allegri, maestro di tanto, sicuramente della crescita di questi ragazzi, ma forse non più di mentalità. L'ha persa nella testa l'unico uomo che sembrava in grado di cambiarla.