Juve-Cagliari è stato tutto ciò che temevamo: l'effetto rebound dopo la scorpacciata di emozioni di Lipsia, quel rimettere i piedi per terra bruscamente nonostante quel cielo toccato con un dito solo qualche giorno prima. La consapevolezza che si sia all'inizio sempre di un percorso, e non alla fine, e nemmeno a metà. Ci ricorda che tutto questo sta nascendo e deve poi farci riflettere su come tutto il resto sia solo una base poggiata a terra, il preparatorio per ciò che arriverà.
Dunque, su cosa preoccuparsi realmente? Risposta banale, forse semplicistica, sicuramente in chiave positiva: non bisogna preoccuparsi proprio di niente. Vlahovic, nove volte su dieci, quel pallone lo mette dentro. Douglas Luiz prima o poi scaccerà la nuvola di Fantozzi e avrà un suo ruolo in questa squadra. La difesa è già rodata senza Bremer, nonostante qualche gentile concessione. Le forze torneranno perché non sarà sempre Lipsia, a metà settimana.
Sappiamo quanto possa essere frustrante arrivare in fondo e uscirne con un pugno di mosche, vedere tutti gli altri correre e tu sei lì con i primi crampi. Ma bisogna prendere il momento per quello che è, e la Juventus per ciò che è diventata: una squadra con dei principi chiari, con una mole di gioco importante, con la forza di trasformare quest'ultima in gol e risultati. Non è sempre Lipsia, non è sempre il Cagliari allo Stadium. Tra il bianco e il nero, che ci crediate o no, c'è un grigio in cui si è già incastrata questa squadra. Magari non varrà lo scudetto sin da subito, ma vale una promessa per il futuro.