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Alessio Tacchinardi, ex centrocampista della Juventus, ha parlato a Tuttosport: «La maglia bianconera ti trasmette tante emozioni: un senso di forza, di sfida, di competizione, di lottare contro tutto e tutti, di pesantezza positiva, di grande responsabilità. La Juve è la squadra più amata ma anche più odiata: in tutti i campi quando arrivavamo giocano con i coltelli tra i denti. Quando ne sono entrato a far parte ho percepito di appartenere a qualcosa di diverso: sei tu contro tutto il resto, ti dà tanto ma chiede anche tanto». 
 
RICORDO - «Ero appena arrivato alla Juve ed eravamo in ritiro in Svizzera. Alla prima partitella non passai la palla a Vialli ma tirai io in porta: dopo Gianluca mi fece un cazziatone perché avevamo pareggiato. Alla Juve il pari era come una sconfitta, anche in partitella. Quando veniva l’Avvocato all’allenamento e magari le cose non stavano andando bene le sue battute erano come stilettate perché la mentalità doveva essere soltanto vincente. Ricordo, dopo una sconfitta a Lecce, che la Triade il mattino successivo ci fece una lavata di testa. Nella mia Juve dovevi tirare fuori qualcosa di diverso».  
 
PRESSIONE - «La mentalità. Nessuno ce l’aveva come noi, tutte le domeniche eravamo dei martelli. Mi ricordo che tanti giocatori appena arrivati, da Henry a Miccoli, da Di Vaio a Zambrotta, dicevano “Ma qui c’è pressione anche negli allenamenti”, la stessa pressione che poi ritrovavi nelle partite. A livello mentale eravamo anni luce distanti rispetto a questa Juve: la squadra attuale deve ritrovare la mentalità che avevamo noi. Penso che il cordone ombelicale si sia rotto con gli addii di Buffon e Chiellini. Dopo la sconfitta a Lisbona contro il Benfica ho sentito Locatelli dire in tv “Abbiamo tirato fuori le palle solo negli ultimi 15 minuti”. Nella mia Juve ti asfaltavano: le palle le dovevi tirare fuori dal 1° luglio al 30 giugno, gli allenamenti erano a 2000 all’ora, tutti che spingevano come animali, tutti che volevamo vincere anche le partitelle, però batterci era tremendamente difficile». 
  
RIPARTIRE - «Per ripartire servono idee chiare e un progetto: c’è da ricostruire una casa e bisogna partire dalle fondamenta. Non guardiamo alle tende o ai quadri, ma alle colonne portanti: chi la costruisce, chi la guida, chi sta vicino ai giocatori, quali giocatori prendere. L’ultima Juve non è stata disastrosa ma sicuramente non sufficiente: non ha mai espresso un bel gioco. E il -10 non deve essere un alibi per mascherare altro: la Juve non puoi prendere 4 gol a Empoli. Saranno stati anche scioccati per la sentenza a mezz’ora dall’inizio, ma proprio per quello devi scendere in campo e ribaltare gli avversari. Almeno, noi avremmo fatto così. Mentre Inter e MIlan hanno l’ossatura della futura squadra, alla Juve ancora manca. Allegri è stato lasciato solo, servono figure come Del Piero e Giuntoli che portino entusiasmo».