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Sorridono tutti tranne lui. Dusan Vlahovic si è ricaricato addosso un po' di ruggine ed è bastata una partita facile per la Juve e che avrebbe dovuto, nella testa di Dusan, portargli ulteriore carica in vista dei prossimi impegni. Traduciamo: voleva far gol. Da buonissimo attaccante, da centravanti di mentalità, l'obiettivo era staccare anche i coinquilini della vetta della classifica marcatori. Eppure s'è fermato a Empoli, che sembra un po' Eboli, ed evitiamo altri paragoni profani con i protagonisti di quell'altra storia. 

NERVOSISMO INUTILE - No, Vlahovic ha tutt'altri modi, non è la pacatezza impersonificata. E' stato, anzi, protagonista di un nervosismo a tratti ingiustificato. Si è fatto segnalare soltanto per un po' di scaramucce con la difesa, mentre a braccia larghe chiedeva un calcio di rigore estremamente generoso. Tutto il resto? Chi l'ha visto. Mai entrato nel gioco della Juve, mai propostosi con la linea di passaggio giusto, sempre in ritardo sui tanti cross che arrivavano da Cuadrado dopo e Kostic prima. Quel nervosismo di chi urla ai mulini a vento l'ha divorato per tutta la partita, e per tutta la partita Dusan è stato l'uomo in meno di Massimiliano Allegri, che dunque ha deciso di sostituirlo. 

L'ABBRACCIO DI TUTTI - Oh, e qui arriviamo al punto cardine della storia: come l'ha presa? Non benissimo. Tant'è che l'immagine del derby si rovescia: se col Toro è stato Vlahovic a consolare Kean dopo l'errore sotto porta, stavolta è Kean ad andare dritto da Vlahovic per abbracciarlo, un favore restituito. Anche Kostic l'ha spronato, ma soprattutto Allegri è andato da lui, l'ha guardato e gli ha parlato. Tutti in panchina hanno poi seguito l'esempio del tecnico: uno a uno, lo schermo di rabbia per le occasioni mai avute (ma stavolta può prendersela solo con se stesso) si è sciolto nella normalità di una sera in cui c'era comunque da sorridere. Come a dire: per una sera, ecco, va anche bene così. Pure se sei Vlahovic e vuoi segnare sempre, comunque, ovunque.