“Impietoso” è l'aggettivo per l'esordio nella stagione '22-'23 di questa Juve. Dobbiamo riandare a quasi 15 anni fa, a presidenti labili, dirigenti confusi, allenatori improvvisati (Ferrara) o bolliti (Delneri) per rivedere non una squadra che perde, ma una non squadra che non sa dove sia, che mette sullo stesso piano Parigi e Monza, Salerno e Torino.
La Juventus attuale non assomiglia all'Inter di Inzaghi, piuttosto a quella di De Boer: una maionese impazzita. Facciamo l'ipotesi che gli ingredienti siano buoni, resta il fatto che non si amalgamano e l'insieme si decompone. Il calcio, si sa, è basato sull'insiemistica, non sull'aritmetica: 11 elementi in campo possono rendere come 12 o 13; viceversa come 10 o 9. Nella Juve attuale prevale di gran lunga la seconda possibilità e, non funzionando l'insieme, anche i singoli all'apparenza più brillanti regrediscono. Locatelli era meglio nel Sassuolo, Bremer nel Torino, Vlahovic nella Fiorentina. Solo Milik, quello costato meno, non ha deluso. Il resto della squadra, portieri esclusi, è in fase calante o poco presentabile (Kean, Alex Sandro, De Sciglio, Cuadrado, McKennie...). Paredes un enigma illuminato dalla lentezza. Dei due nuovi campioni a parametro zero s'è già detto. Pensate un po': siamo arrivati al punto di considerare Rabiot un salvatore della patria.
Con questi chiari di luna, visto che, presumibilmente, alle porte non ci saranno cambiamenti degni di questo nome, ben vengano allora, le pause. L'unica medicina praticabile sembra, infatti, il ritiro: atletico e spirituale.