Quello prima, il quarto, non fu gran che, ma almeno si portò a casa lo scudetto (comunque meno “convinto” della storia) con un allenatore sulla soglia del licenziamento. Se la Juventus oggi continua a galleggiare nel mare della pochezza, la responsabilità è dei fattori sopraelencati. Nessuno è il vero responsabile, lo sono tutti insieme. E quando gli elementi di una crisi sono tanti, uscirne fuori è più difficile.
Ha cominciato la società mandando via Marotta, promuovendo un discreto tattico (Paratici) a grande stratega. Ha continuato col colpo Ronaldo (abbagliante, ma economicamente imprudente) e ha continuato con gli esperimenti-allenatori. Il tutto con un comun denominatore pericoloso: vincere ancora, vincere meglio. Sarri e Pirlo non hanno goduto di nessuna fiducia, anzi hanno solo alimentato la labilità dei vertici societari, che hanno scelto di tornare all'usato strasicuro, convinti di patrimonializzare il passato. Credevano che sarebbe bastato Allegri per far giocare una squadra di per sé non eccelsa.
Chi dice che i bianconeri hanno i giocatori più pagati d'Italia, dimentica che si tratta di un'aggravante. Un errore colossale pagare troppo una rosa che non vale i soldi spesi. Campagne acquisti fallimentari, basate sul parametro zero (va bene una volta su dieci), uno scouting scadente, un allenatore, notoriamente, senza troppa visione, un direttore sportivo decisionista, che non pensa alle conseguenze… Aggiungeteci il dato culturale d'un antijuventinismo generalizzato, a tutti i livelli, e avrete il cocktail micidiale.
Lo stanco campionato, e gli sforzi dimostrati per andare avanti in Uefa, l'estromissione immediata dalla Champions, il gioco balbettante, l'ignominia di Haifa, la paura che attanaglia i giocatori, l'ormai conclamata avversione di FIGC e UEFA, non nascono da oggi. Sono tutti gradini di un percorso che dura da circa quattro anni indirizzato, purtroppo, verso il basso. Pensare che basti una partita, un piazzamento o un trofeo per cambiarlo è un'illusione.