LA CONTESTAZIONE - Ci sono tante immagini da prendere in questa gara, a prescindere dal risultato che ha il peso più specifico di tutti. La prima è la prestazione di Vlahovic: ancora staccato dal contesto di non-gioco, nervoso e imbarazzato dalle difficoltà incontrate. Non averlo messo al centro della squadra è la colpa più grossa ed evidenziabile del ciclo Allegri, con le mani in tasca e un affanno costante nelle scelte (pure sui cambi, ma quanto ha atteso? E come ha cambiato?), oltre che nelle dichiarazioni. I tifosi non hanno più pazienza, ne hanno venduta a pacchi sostenendosi su tanti anni di vittorie, ma ora sono trincerati nella paura di vivere un'era indefinita, potenzialmente da tempi biblici. Non si chiede più l'irrealtà dell'imbattibilità, ora si va per gradi. Si fischia il gioco, si fischiano le scelte, si fischiano i calciatori che non hanno più una marcia da Juve (vedi in passato Kean, oggi Cuadrado e McKennie). Si fischia la passività di un gruppo sconnesso con la realtà di cui si circonda. E la pressione aumenta, e la Juve non sa assolutamente come gestirla.
LE SCELTE - E' giusto chiedersi adesso quanto rischi Allegri? Non solo è giusto: si fa sacrosanto. Allegri è la divisione che sta alla base delle complicazioni della Juve, la certezza che così non si possa proseguire e l'immobilità di non poter fare altre scelte se non forzare la fiducia nei suoi riguardi. Ma stasera, con il Benfica che rischia di fare il terzo, il quarto, il quinto gol, le crepe sono diventate insostenibili e hanno causato una frattura forse insanabile, certamente sotto gli occhi attenti della dirigenza. Se il progetto Juve non si mette in discussione, si può fare certamente qualcosa sul progetto Allegri. Si deve farlo. Il tecnico oggi si nasconde dietro 40 minuti di livello dimenticando 100 anni di storia, di vittorie e pure di gioco. E così è crisi. Irreversibile. E così sarà, finché non si prenderanno decisioni drastiche, in un senso o nell'altro.