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I sussulti d'orgoglio sono tutto ciò che è rimasto alla Juventus di Andrea Pirlo. Che stavolta no, non potrà aprire il vaso degli alibi: dovrà soltanto fare ammenda, compattare il gruppo e provare a ripartire, dopo una serata che ha lo stesso senso dei due 'approcci' dei suoi ragazzi. Neanche mezzo. Nelle trincee del Porto e nel teatro tragico di Cristiano, la Juve tira per i capelli la qualificazione ai quarti e riesce ad agganciare una speranza: è flebile, ma è viva. Ha il polso debole, ma si può salvare. A patto che cura e misura siano profondamente diverse nell'ennesima rimonta dopo gli ennesimi ottavi complicati malamente. 

GLI ERRORI - Quanto conta un gol, quanto pesa quello di Federico Chiesa. Che salva capra, cavoli e maestri da una settimana di tempeste mediatiche e social. Che dà una possibilità, almeno una, alla Juventus di ribaltare pure i propri errori. Tanti, quelli in Portogallo. Soprattutto di testa, non meno di campo. Annebbiata dalle linee strette dei lusitani e mai - ma mai! - in grado di innescare con continuità gli esterni. Vecchio adagio, già vissuto sulla propria pelle in campionato: se non sbocca sugli esterni, questa squadra implode. Il motivo? Ha idee banali e con le idee banali non superi le barricate. Ha lentezza nel giropalla e soprattutto in Europa è una questione di ritmo e di intensità. 

DA COSA RIPARTIRE - Eppure ora c'è da attaccarsi, a quella speranza. A quella luce flebile di un destro strozzato nel momento più difficile della stagione. E' stato come un'apparizione, ora dovranno subentrare necessariamente le buone azioni. Non si diventa Cristiano e cristiani all'improvviso. Servirà pazienza, di sicuro ci sarà bisogno di personalità e responsabilità. Magari di Dybala, che stasera poteva soltanto guardarla. Possibilmente del migliore Ronaldo. Insomma, dove non arriverà la squadra, per una volta questa Juve non dovrà subire i costanti tradimenti dei singoli. Del resto, la Champions non è la competizione degli episodi? La fortuna aiuta gli audaci. Ergo: si costruisce.