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Inversione di tendenza. La Juve cambia rispetto al passato e sul mercato non spinge più: questioni di necessità, di una nuova strategia e anche di un momento particolare, senza dubbio influenzato dall'assenza degli introiti delle coppe. Una nuova realtà a cui i tifosi dovranno abituarsi: il saldo finale dice acquisti per 21,7 milioni a fronte di cessioni per 82,3 e un mercato decisamente in attivo, come richiede in questo momento la proprietà. Un equilibrio da mantenere anche in futuro, anche grazie alla diminuzione del costo della rosa. In questo mercato, infatti, c'è stata anche una riduzione di 36 milioni del costo per stipendi: un taglio del 15%, nonostante il quale resta l’organico più costoso della Serie A, favorito dagli addii di Angel Di Maria, Leandro Paredes, Juan Cuadrado e Leonardo Bonucci. Quattro posizioni che pesavano, in tutto, quasi 40 milioni. Con il solo Weah ad aumentare (di 3,3 milioni) il monte ingaggi. E non solo: come spiega il Corriere dello Sport, il blocco all’acquisto di nuovi cartellini consentirà di abbattere il valore contabile delle immobilizzazioni immateriali di un centinaio di milioni, già nel 2023/24. Una riduzione notevole della spesa complessiva per l’organico dei tesserati, ovvero il parametro principale del nuovo Fair Play Finanziario.

PLUSVALENZE E VLAHOVIC - C'è poi la questione plusvalenze: in questo momento il livello è risicato, visto che la cessioni di Zakaria (20 milioni) consente di registrare solo 4,6 milioni, mentre Rovella e Pellegrini potranno essere registrati solo tra due anni. Il grande nodo di questa sessione, però, è la mancata cessione di Vlahovic: come si legge, la madre di tutte le operazioni, da cui il club sperava di ricavare una quarantina di milioni freschi oltre al cartellino di Lukaku. Vlahovic ha ancora un valore a bilancio di 56 milioni e inoltre, la retribuzione del giocatore salirà automaticamente a 12 netti il prossimo anno: “dettaglio” letale per qualsiasi potenziale acquirente, sottolinea ancora il giornale. Insomma, miglioramenti sì, ma di lavoro da fare ce n'è ancora.