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Poco più di un mese fa, dopo il pareggio a Marassi contro il Genoa, chi scrive aveva utilizzato la metafora dell'"aeroplano di carta". L'idea era semplicemente quella di raccontare una Juve che aveva dato la sensazione di perdere facilmente quota nel momento in cui sentiva mancare il vento a favore degli episodi - come quelli che le avevano consentito di vincere più partite con il minimo stacco e di strappare un pareggio contro l'Inter - non riuscendo allora a imporsi con la forza dei singoli. 

Ecco, il tema sembra essersi riproposto poche ore fa nel match contro l'Empoli, seppur con un taglio leggermente diverso e con la notevole differenza che da quel 15 dicembre i bianconeri hanno quantomeno ritrovato la versione migliore di Dusan Vlahovic, di nuovo decisivo e capace di far dimenticare il "corto muso" allegriano, almeno fino a ieri sera. Fuor di metafora, la questione è semplice. Il vento a favore è cessato tanto per la follia di Arek Milik, che dall'alto della sua esperienza avrebbe potuto fare qualsiasi cosa tranne che quell'intervento ingenuo, quanto per la scelta di Massimiliano Allegri di mandarlo in campo dal primo minuto al posto di un Kenan Yildiz in stato di grazia. 

In sostanza il tecnico livornese ha finito per mettere a repentaglio quel (sempre fragile) equilibrio che aveva aiutato la Juve a spiccare il volo, anche sulle ali dell'entusiasmo, perché era evidente quanto il turco fosse importante per le dinamiche della squadra e per lo stesso Vlahovic, soprattutto in assenza di Federico Chiesa. Tardivo anche il suo ingresso in campo, a un quarto d'ora dal fischio finale e una vita dopo l'espulsione di Milik. L'atterraggio della Juve, quindi, è stato brusco. Ma c'è ancora tempo per un nuovo decollo.