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Se si dovesse inscatolare e spedire, la Juventus avrebbe un doppio strato di carta da imballaggio e una scritta bella grande sopra: fragile. Un giocattolo mandato in manutenzione, dove i meccanismi hanno ricominciato lentamente a girare nel verso giusto, ma ancora troppo delicato e influenzabile da quello che gli succede intorno.
 
Scendiamo dalla giostra delle metafore per un momento. La Juventus padrona del campo e del proprio destino prende un gol in ripartenza dal Maccabi. Le gambe cominciano a tremare, i dubbi prendono il posto delle certezze nella testa dei calciatori ed è il panico. Gli avversari alzano il baricentro e hanno più di un’occasione per pareggiare e affondare la Vecchia Signora. Non succede, per fortuna, ma il rischio c’è stato.
 
Chi non scende dalla giostra, quindi, è la Juventus. Troppo affezionata dalle montagne russa sopra le quali si è infilata. Su e giù in un loop che non si vuole – non si riesce – a spezzare. Equilibrio, continuità: queste le parole d’ordine ripetute in più occasioni, ma che sembrano ancora una chimera. Alla vigilia dell’impegno di Champions League, Massimiliano Allegri si è trasformato in psicologo, ma la fragilità che affligge la sua Juventus sembra ancora distante dall’eliminare e le vittorie – con la crescita dell’autostima – sembrano solo poco più di un palliativo.
 
Il tecnico livornese, infine, è tornato su un vecchio tema: “Volevamo essere bellini, siamo andati dietro a Di Maria”. Il problema, però, sembra essere più profondo. La squadra, nel post partita, ne era cosciente e, siamo sicuri al di là delle esternazioni ai microfoni, anche l’allenatore. Adesso, però, è essenziale trovare una soluzione.