Il fatto che Pirlo parli poco, dunque, lascia il tempo che trova. Le crepe o gli scricchiolii juventini, a questo punto della stagione, hanno invece almeno una causa evidente. Siccome una squadra di calcio non è la sommatoria aritmetica di 11 giocatori, una “macchina” che si riduce all’assemblaggio deterministico delle sue componenti, ma un sistema più complesso, almeno una cosa si è capita. Quando la Juve gioca con Rabiot e Ramsey gioca in nove; quando non ci sono, in 11 o 12. Insomma il problema principale, oltre a un incontrista forte davanti alla difesa, è costituito da quei due.
Ormai è passato un anno e mezzo, non i soliti 6 mesi di ambientamento: ci si sono scontrati Sarri e ora Pirlo. Mica che non si impegnino, non ci siano con la testa, non sappiano che una sfera rotola. No, lo sanno, ma non basta. Ramsey, fisicamente fragile, copre una minima fetta di campo e non è abituato a giocare nello stretto, quasi sempre in confusione sotto la pressione avversaria. Rabiot, all’opposto, vaga, spesso disorientato. Il primo appare vittima di una claustrofobia che gli impedisce i movimenti; il secondo di un’agorafobia che lo disorienta.
Ora, è vero: sono in rosa, sono costati poco o nulla, ma tanto di stipendio, e forse quindi, non vanno svalutati (il computo in questi casi è comunque opinabile) però il rischio è che svalutino la classifica. Buffon presentò Rabiot come un fenomeno, ma l’aveva visto solo in allenamento; Ramsey nel campionato inglese aveva praterie da attraversare. Qui è diverso. Ci sono le partite contro avversari e il calcio è ossessivamente più tattico e chiuso. Almeno nel nostro Campionato. In Champions può essere diverso, ma la domanda è: Ramsey e Rabiot, che non sono da Campionato, sono da Champions?
Sia l’allenatore laconico, sia quello estroverso darebbero la stessa risposta. La domanda allora cambia: ma perché giocano?