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L'ambizione del ritorno, per Gigi Buffon, non è mai stata grande quanto una Champions League. Andava oltre. Provava a fermare il tempo, presuntuosamente sperava quasi d'ingannarlo. In un ciclo fatto sì di vittorie, ma soprattutto di uomini, il distacco di quell'anno a Parigi gli è sembrato così innaturale da rompere persino l'orgoglio, uno dei suoi abiti migliori, smisurato e calibrato in una carriera da numero uno ma non per questo esente da critiche feroci e cattiverie gratuite. 

Era andato avanti, Gigi, cullato dal sogno di ragazzo e mettendo in pratica i consigli di uomo maturo: la Juve andava servita e riverita, solo in altro modo. E al termine del biennio, se i dubbi (e la paura) sul futuro restano gli stessi, la rassegnazione del buco nella carriera è diventata consapevolezza di mortalità, da Superman più umano di tutti. 

Neanche stavolta cederà il passo agli indovini del suo destino: perché di smettere non se ne parla, e un altro anno in cui dimostrare di essere Buffon sembra riscatto necessario dopo il purgatorio alla Juventus. Alla fine, un ritorno che gli ha dato uno scudetto ma ha svilito la sua figura mitologica, l'aurea di immortalità di un gruppo sepolto sotto la gestione dell'amico Pirlo

Aveva deciso di restare anche per lui, nella scorsa e turbolenta estate. Per provare a sparare l'ultima cartuccia contando - e supportando - un compagno di viaggio, nel segno dell'unità d'intenti, della forza del gruppo. E' crollato tutto. E' crollato anche Gigi, figura di riferimento e sempre più di rado di campo. Appena ha percepito la possibilità di disturbare con le sue nuove intenzioni, ha ancora una volta anticipato tutti ed evitato la rianimazione del sogno, per tanti terminato con quel lungo saluto e con la conferenza d'addio in cui le lacrime sono state trattenute a fatica. 

Anche lì, e in molti neanche l'hanno capito, Buffon volò a Parigi non per raggiungere una coppa in più o per un gioco di possibilità maggiori, ma semplicemente per togliere il disturbo a un percorso già segnato, a una Juventus pronta a voltare pagina. Szczesny era stato preso per un avvicendamento che altri avevano deciso al suo posto: avevano appuntato minuziosamente ogni passaggio. Non avevano messo in conto la voglia di Gigi, che avrebbe continuato a giocare a stupire. 

Da uomo d'altri tempi, ha messo la Juventus sempre al primo posto. E chi esulta oggi per l'addio del portiere più forte di sempre, fomentato da due anni di anonimato (ma siamo sicuri?) e con la bava alla bocca per la rivoluzione dei giovani terribili, non stia fino alla fine con Buffon per riconoscenza: lo faccia solo per il senso smisurato d'appartenenza a questi colori. In una squadra in cui identità e applicazione sono persi, se ne va il più grande esempio d'amore. Impossibile da non rimpiangere.