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Il mental coach Dario Silvestri ha parlato di come intervenire sul caso Moise Kean, attaccante della Juventus e della Nazionale, nel proprio editoriale su La Stampa:

"Il caso Kean e la sua esclusione dai titolari nell’ultima partita degli Europei Under 21 non è solo una vicenda sportiva, ma un episodio che coinvolge tutti. Nella vita siamo spesso chiamati a prove particolarmente complesse e profonde. Ci serve tempo per poterci preparare e acquisire le capacità necessarie ad affrontarle. Sovente sono necessari molti anni e soprattutto molti errori per farci diventare capaci di gestire situazioni di grande tensione e stress, momenti in cui la vita individua con precisione è nostri punti deboli. Come sappiamo, quegli stessi punti deboli, una volta superati, possono diventare punti di forza. Però la trasformazione richiede una condizione necessaria: il tempo.

A 17, 18 o 19 anni ogni essere umano è stato protagonista di una serie di piccole e medie catastrofi che lo hanno messo in difficoltà davanti a parenti, amici o compagni di scuola. Immaginate di averlo fatto sotto i riflettori e la lente di ingrandimento dei media e con la pressione delle aspettative agonistiche di una Nazione. Sicuramente questo non avrebbe reso il gioco altrettanto facile.

Ma come fare a insegnare una via di difesa o di sopravvivenza a un giovane campione. La ricetta in questo caso non c’è e forse non esiste una panacea che abbia effetto su tutti allo stesso modo. La strada che offre più certezze è come sempre il lavoro, le società - con l’aiuto delle famiglie - devono cominciare a prendersi cura del cervello e del cuore di questi ragazzi con la stessa attenzione e conoscenza con cui si prendono cura dei loro muscoli, dei piedi e dei polmoni. Un lavoro capace di tenere conto del fattore evolutivo e del fattore umano, elementi troppo spesso considerati secondari che possono diventare il fattore catastrofe, quello che fa naufragare momenti chiave di carriere o di sfide decisive.

Se vengono spremuti fino all’ultimo e in modo esponenziale si creano i presupposti per farli crollare. Esistono casi di giovani campioni che risultano sempre virtuosi, ma non ci dobbiamo fare ingannare perché stanno facendo sforzi enormi con una dedizione talvolta molto superiore alle loro capacità e che li porterà magari a pagare un prezzo domani. Un prezzo di fragilità. Senza aiuti i miracoli non esistono.

Ogni atleta deve diventare un progetto con la sua emotività e soggettività che non va repressa e bastonata ma correttamente inserita in un percorso volto all’acquisizione di sempre maggiore consapevolezza e quindi di forza. Questo vivere ogni passaggio e goal mancato come una grave sconfitta personale, ma piuttosto come un’opportunità per imparare e crescere.

Mi occupo di performance, di come implementarle e ottimizzarle. In questo campo non ci è consentito di ignorare il lato umano di un giovane atleta, di un futuro campione, perché farlo ci porterà distanti dagli obiettivi. I giovani vanno resi capaci di gestire le paure, le ansie e le tensioni così diventeranno leader e sapranno sostenere i compagni e compiere imprese che potranno lasciare il segno nella storia dello sport. La vera sfida è sempre con noi stessi".