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Le cazzate, a 19 anni, sono altre. Poi è chiaro che Moise Kean, che di mestiere fa già il calciatore, certe storie sembra pure attirarsele. Prima le parole di Allegri, poi la questione del padre, quindi quell'esultanza: un filo rosso tutto da stendere, se non fosse che qui si parla d'altro. Si parla di robe rischiose, nocive, disgustevoli. Si parla di razzismo. Piaga e pratica becera di ogni domenica: solo chi fa orecchie da mercante, oggi, se ne stupisce e grida allo scandalo. 

L'ERRORE - Moise però qualche colpa ce l'ha. Ce l'ha nel momento in cui, davanti all'ennesima occasione per mostrare la sua maturità, ecco che l'istinto viene fuori. Rabbioso. Con tratti d'arroganza. Mai sana e pure antipatica. Ma sono stati giorni caldi, di parole feroci e di penne troppo svelte nel dipingerlo desiderio di rivalsa italiano contro le scuole spagnole e le novità tedesche. E il paradosso è pazzesco: nel momento in cui l'Italia ha bisogno di Moise come concreto simbolo di rinascita, dalle parti della Sardegna Arena tornano al buio medievale. Lui ha risposto. E ha sbagliato. Non perché non ne avesse il diritto, ma perché sarebbe stato un buon banco di prova per smentire le ultime titubanze. Il temperamento, quello caldo, è cattivo consigliere e fedele passeggero sul treno del fallimento. Poi ci sta tutto: ha sbottato Matuidi, ne hanno parlato tutti e le attenuanti si sprecano. Però quella punta di rimorso per Moise, quello che ha poi palesato Allegri nelle parole post gara, non si nasconderà dietro l'orgoglio. Saprà punire. E nella serata in cui ha collezionato il nono gol in Serie A, il quarto in quattro partite tra Juve e Nazionale, non si parlerà dei suoi numeri spaventosi. Si parlerà solo di poveri idioti. E della sua risposta illegittima. Vera e sincera. Però, forse, inutile.